MESSINA. Aver contribuito a portare cento milioni per il risanamento, essere riuscito ad approvare un piano di riequilibrio per evitare il dissesto, l’avvio della riqualificazione della linea tranviaria, aver portato avanti la differenziata e l’introduzione della Family card (finanziata anche con fondi regionali e nazionali). Cinque innegabili successi che Cateno De Luca ha raggiunto in tre anni e mezzo di mandato, raggiunti con caparbietà, sacrifici, e preparazione amministrativa e contabile, ma anche con cambi di direzioni, forzature e meriti (nello sfruttare risorse e iniziare o completare opere frutto del lavoro di amministrazioni precedenti) che non ha mai voluto condividere con nessuno, godendo del lavoro altrui come le prossime amministrazioni faranno col suo (niente di sbagliato o anormale: si chiama continuità amministrativa)

 


Le baracche

 

“Libereremo le baracche entro il 31 ottobre, e le abbatteremo tutte entro il 31 dicembre”, spiega il neoeletto Cateno De Luca nella torrida estate del 2018. Primo cittadino da un mese e mezzo, aveva subito puntato alto, altissimo. Troppo. Chiarito subito che le baracche non sono state tutte liberate e non sono state tutte abbattute, è indubbiamente uno dei maggiori traguardi dell’Amministrazione quello di aver impresso un’accelerazione al processo di risanamento della città, con un essenziale contributo di Arismè, la prima delle partecipate creata da De Luca (che da deputato regionale l’aveva fatta inserire in finanziaria regionale) che ha fatto da “cabina di regia” per le operazioni di sbaraccamento e ricollocamento di chi in quelle baracche ci abitava: creatura che il presidente Marcello Scurria aveva proposto ben tredici anni fa all’allora sindaco Peppino Buzzanca, inascoltato, e che invece ha trovato terreno fertile in Cateno De Luca. Che, da parte sua, è stato abile a sfruttare sia la notevole esposizione mediatica dell’argomento, sia il lavoro di concerto dei parlamentari nazionali Matilde Siracusano di Forza Italia, Francesco D’Uva del Movimento 5 Stelle e Pietro Navarra del Pd, che si è concretizzato in un finanziamento straordinario da cento milioni da parte del ministero per il Sud retto da Mara Carfagna. A questi si sono aggiunti i finanziamenti regionali già esistenti per la demolizione delle baracche (come è accaduto per quelle dell’Annunziata), il lavoro dell’Iacp vecchio di anni e i cui frutti sono stati inaugurati da De Luca (la consegna delle case di villaggio Matteotti), ma soprattutto il progetto Capacity, iniziato da un partenariato pubblico-privato tra l’amministrazione di Renato Accorinti e la Fondazione di Comunità di Gaetano Giunta, e intelligentemente portato avanti da Arismè e dal costante e spesso silenzioso lavoro dell’assessore ai Lavori pubblici Salvatore Mondello, che in questi anni si è tenuto piuttosto lontano da polemiche e riflettori.

 


I conti del Comune (in attesa dei responsi)

 

Il piano di riequilibrio della giunta di Cateno De Luca, il cosiddetto “SalvaMessina”, sarebbe passato indenne dalle forche caudine della Corte dei Conti? Quesito ipotetico la cui risposta non si saprà mai, perché l’Amministrazione, dopo le numerose perplessità avanzate dai magistrati contabili, ha deciso di avvalersi della norma che permette di rimodulare ulteriormente un piano che è stato rimaneggiato già una mezza dozzina di volte tra scritture, riscritture, bocciature e rimodulazioni, all’approvazione di fine marzo del 2021nove anni dopo, per avere più tempo (e più soldi) per rientrare dai debiti. Quello che l’amministrazione dimissionaria ha fatto, e che nessuno aveva fatto prima, è stato quello di sedersi faccia a faccia con oltre 12mila creditori del Comune, alcuni dei quali attendevano di essere pagati da vent’anni, e accordarsi per un generoso abbattimento del debito. Una pratica che De Luca ha portato avanti con una spregiudicatezza fuori dal comune, presentando Palazzo Zanca come un ente alla canna del gas con oltre mezzo miliardo di debiti (mentre invece di effettivi da pagare erano pressoché la metà). Detta in altra maniera, De Luca ha spiegato a chiunque che il Comune annegava nei debiti, sapendo che in realtà quelli da pagare erano una cifra consistentemente più piccola. La parte maggiorata, ha scritto De Luca nero su bianco, “non aveva alcun motivo di essere contemplata ma tale scelta è stata messa in atto per agevolare le attività di rientro”. Comunque sia, stando alle controdeduzioni inviate dal Comune di Messina alla Corte dei conti, e la cui elaborazione si deve in massima parte al direttor generale Federico Basile, designato da De Luca quale suo successore, la massa debitoria si è ridotta di 155 milioni, e il prossimo piano di riequilibrio, quando (e se) sarà approvato dal Ministero dell’Interno e validato dalla Corte di conti, dovrà coprire 82 milioni di euro entro il 2033.

 


Il ripensamento (e il rilancio) sul Tram

 

In campagna elettorale De Luca voleva smantellarlo del tutto, magari con la prospettiva di sostituirlo con una monorotaia volante (realizzata da una controversa società bielorussa, con tanto di rappresentanti giunti a Messina per illustrare il progetto). Poi, una volta vinte le elezioni, il progressivo dietrofront, che ha portato l’Amministrazione a compiere una repentina inversione a u con tanto di colpo di freno a mano in curva. La tanto discussa linea tranviaria, additata da molti come la principale responsabile della moria del commercio in città, non solo non verrà dismessa, ma sarà modificata, ammodernata e potenziata, diventando il centro delle politiche di trasporto pubblico del Comune. Un cambiamento, ancora in itinere (e già sottoposto alle immancabili critiche), finanziato con i fondi Marterplan e “cura del ferro” (finanziamento di 11,4 milioni deliberato dal Cipe il 17 dicembre 2017), iniziato col revamping delle vetture del tram e che continuerà col bando appena pubblicato per la revisione di tutta la linea, che rappresenterà uno dei cavalli di battaglia della neonata Atm spa, (gli altri sono il potenziamento della flotta e nuovi bus elettrici) creata sulle ceneri della vecchia azienda di trasporti, la cui efficienza contabile e funzionale sarà da verificare negli anni a venire (mentre prosegue imperterrita l’eterna faida con i sindacati).

 


La raccolta differenziata in tutta la città

 

Avviata dall’ex amministrazione di Renato Accorinti con il porta a porta (limitatamente ad alcune zone) e la creazione di una nuova società “vergine” e senza debiti, e prima ancora dalla giunta di Giuseppe Buzzanca (che ha realizzato le prime isole ecologiche), il servizio di raccolta differenziata è entrato nel vivo con l’estensione del porta a porta su tutto il territorio cittadino durante i quasi quattro anni di sindacatura di Cateno De Luca, riuscendo a raggiungere un picco del 56% a settembre del 2021 e una media del 53% nel secondo semestre 2021 (secondo MessinaServizi: per la Regione, nel primo semestre 2021 era del 31,29%). Un grossissimo balzo in avanti, dopo averla raccolta al 17,9% nel 2018 e portata al 29% nel 2020 (secondo l’Ispra, perchè la Regione dice che nel 2020 era al 22,5%): una quota di molto superiore a quella delle altre due città metropolitane siciliane (Catania e Palermo) e vicina all’obiettivo di legge del 65% (che De Luca aveva intenzione di raggiungere entro luglio 2019). Un percorso che non è stato affatto tutto rosa e fiori, a fronte dei vari rincari della Tari, una delle più care d’Italia (sui quali c’è stato un lungo rimpallo di responsabilità fra Giunta e Consiglio), e della città lasciata per mesi e mesi priva di un efficiente servizio di spazzamento (affidato a più riprese a ditte esterne o ai cantieri di servizio). Il risultato? Una città sempre ostinatamente sporca, anche per colpa dei tanti “zozzoni” finiti nel mirino di De Luca, ma che si appresta comunque a soddisfare i requisiti imposti ad ogni latitudine dalla normative, con ovvie ricadute su igiene e decoro urbano. Ancora piuttosto carente il servizio di scerbatura (affidato anch’esso all’esterno, come praticamente tutti i servizi che non siano la raccolta porta a porta), caratterizzato più da sporadici interventi straordinari che da una ordinaria e meticolosa programmazione.

 


I sostegni economici a famiglie e imprese nel lockdown

 

Uno dei momenti topici di questi tre anni e mezzo targati Cateno De Luca è stato sicuramente il 2020, caratterizzato da lockdown, pandemia, zone rosse e nemici in ogni dove, e connotato da una incessante attività del primo cittadino, a cui va dato il merito di aver affrontato “di petto” un’emergenza dalla portata più unica che rara. I risultati? Altalenanti. A fronte di una esposizione mediatica senza precedenti, l’ex primo cittadino ha deciso di gestire la questione in prima persona, soprattutto nel corso della prima ondata (che ha solo “sfiorato” Messina e gran parte del sud Italia), anche a rischio di mettere a repentaglio (è un eufemismo) i rapporti istituzionali, sfruttando l’occasione per cercare di accreditarsi come il più attivo difensore della salute dei siciliani. Come ha reagito all’emergenza l’ex primo cittadino? Oltre che con un paio di decisioni discutibili (e una sfilza piuttosto lunga di dietrofront e ordinanze annullate) anche con il varo di una serie di manovre a sostegno di famiglie e aziende chiamate “Family Card” e “Pmi card” del valore complessivo di circa 32 milioni di euro (uno dei maggiori impegni di spesa rispetto alla popolazione in Italia, poi addirittura rimodulati a 63). La prima era un sussidio immediatamente spendibile per quei nuclei familiari che non prendevano alcuno stipendio a causa delle misure restrittive che impedivano di lavorare, per fare la spesa e pagare le bollette; la seconda un bonus che sarebbe stato accreditato in seguito a sostegno di quelle aziende che ne avrebbero fatto richiesta. Ovviamente, differentemente da quanto affermato dal sindaco in qualche occasione (qui il link), Messina non è stata né la prima né l’unica, ma comunque si è dimostrata una delle più attive in merito. Da dove venivano i fondi reperiti da De Luca? Da più canali combinati, perchè nessun ente locale avrebbe potuto permettersi una tale spesa: quelli di Messina sono stati utilizzati sfruttando sapientemente somme stanziate dal governo regionale e da quello nazionale affinché i Comuni potessero a loro volta sostenere le famiglie, finanziamenti governativi una tantum, fondi europei riprogrammati e soprattutto fondi Pon Metro che il Comune di Messina aveva impegnato ma ancora speso e che per questo ne ha potuto cambiare la destinazione, rimodulandoli. Non riguardano direttamente i sostegni economici per la pandemia, ma a valere sul Pnnr, il piano nazionale di resilienza e ripresa, Messina ha presentato progetti (allo stato di valutazione, e ricadenti su città e provincia) per 132 milioni di euro. In massima parte frutto del lavoro dell’assessora al Bilancio Carlotta Previti.

 


(bonus) Torre Faro finalmente pedonalizzata

Ciò che in un qualsiasi posto normale del mondo sarebbe scontato, e cioè che la zona di maggiore attrattività turistica sia pedonale e ad esclusivo utilizzo di pedoni e biciclette, a Messina è diventato terreno di ferocissimi sconti. Se ne parlava da anni, gli assessori Dafne Musolino e Salvatore Mondello , dopo la “falsa partenza del 2020, solo i weekend e molto in là coi tempi, per il 2021 hanno tenuto duro (al termine dell’esperimento dell’anno precedente le proteste li avevano mangiti vivi) e l’hanno riproposta, stavolta a partire da giugno e in maniera integrale. Risultato, le immancabili proteste di residenti e commercianti, per parcheggi e affari (le stesse argomentazioni che ammorbano da anni ogni tentativo di pedonalizzare qualsiasi zona della città), ma, anche attraverso i correttivi del caso, l’isola ha restituito un minimo di decoro e tranquillità e Capo Peloro, regalando ai messinesi un luogo (splendido) libero da traffico, smog, autoradio a palla e auto ficcate in ogni centimetro disponibile. E l’impegno amministrativo di reiterare la maxi isola pedonale nel 2022, magari facendo tesoro delle criticità (parecchie) emerse durante il 2021.

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