Sdò
Che cosa sia esattamente lo sdò probabilmente nessuno sarebbe in grado di spiegarlo con esattezza, né è facile risalire all’etimologia della parola, troppo gergale per trovare spazio nei dizionari dialettali e troppo di nicchia, forse, per attirare l’attenzione dei linguisti locali.
Ma la cosa in fondo non ha particolare importanza. Dalla notte dei tempi la funzione primigenia del linguaggio – insegnano i manuali di semantica – è quella di veicolare un contenuto altrimenti non esperibile servendosi di un contenitore, quale che sia la forma o l’origine del recipiente, dettata dalla pura arbitrarietà. Quello che invece è fondamentale, nel linguaggio, è capirsi. Persino quando, o a maggior ragione, forse, come in questo caso, il termine designa qualcosa di estremamente aleatorio e soggettivo.
Lo sdò è un termine intraducibile: per farlo comprendere a un immaginario interlocutore forestiero potremmo usare vari sinonimi. Si può provare con apatia, con abulia, con atarassia, tedium vitae, persino con malinconia ai tramonti. Ma nessuno di questi riuscirebbe a rendere appieno il significato primo del termine, che designa uno stato di spossatezza immotivata e imperitura radicata nel centro dell’anima. È quella sensazione di impotenza esistenziale, caratterizzata dalla cifra della vaghezza, che rende tutto vuoto e senza senso. A partire da se stessi. Una spaventevole malattia dell’essere (come Antonin Artaud definiva la follia) che ti coglie in certe mattine di primavera, quando ci si ritrova all’improvviso con il corpo privo di forze e la mente sgombra di pensieri. Una impasse cognitiva che non ti permette di far niente ma che, allo stesso tempo, può essere persino rincuorante: una sorta di consolazione da ripetere a se stessi per evitare di interrogarsi su cosa realmente ci coglie in quei momenti.
Che hai? Ti vedo strano/a. Niente, ho solo un po’ di sdò. Basta pronunciare questa parolina magica, tronca, composta da una sola sillaba, con quella esse iniziale che sa tanto di privativo, che tutto riacquisisce nuovamente un senso. Va tutto bene. Solo un po’ di sdò.
“Scafuliare”! Marino, non esiste un termine che rende meglio l’idea di cercare qualcosa dentro un contenitore, un cassetto, una borsa rigirando forsennatamente le altre cose che ci stanno dentro. Esiste anche un’accezione più moderna “Scafuliare il telefono”, andare a cercare qualcosa sul celluare di un altro, spesso un partner per “iammare casino”…Dialetto 2.0
In effetti scafuliare è un bel termine, anche nella sua versione 2.0
“Furriare” significa rovistare per poter trovare qualcosa nella borsa o in un cassetto.
sciollero, si diceva di merce di ottima qualità, la migliore sul mercato, il massimo. Il riferimento è nel mondo del cucito domestico, la ditta Schoeller produceva i filati migliori il non plus ultra. da cui sciollero.
La ditta svizzera ancora esiste https://www.schoeller-textiles.com/en/ .
Grazie…
ve ne do altre 5:SPILLUNGA,SGUARRARE,SAUTAFOSSA,SVINNIGNARI,SAPPA.
sdirruparsi
Suggerisco “sduvacare” ed il relativo riflessivo “sduvacarsi”: “motta sugnu! (cit.) ora vaiu e mi sduvacu nto divanu…”
Questi commenti sono fantastici! <3
Sciollero non deriva da “Scialo” anzi non ha nulla a che fare credo- A mio sommesso avviso, è parola relativamente recente, inizi ‘900, ed è da ascrivere agli “slang” di ritorno dell’emigrazione italo/americana.
La parola è la “sicilianizzazione” di “Show Girl”…., le “ragazze dello spettacolo” le “soubrette” in mostra, associate alla “festa” allo “spettacolo” alla “mostra passerella” di se….
speravo di trovare una accurata spiegazione sul termine sciacquazza, come tradurlo al meglio per gli amici del continente?
Morta sono! Proverò a rispondere, ma potrei sbagliarmi facilmente visto che vivo nel continente da un po’ di anni. A memoria, direi che “fare sciacquazza” significa escogitare situazioni, con fatti o parole, con lo scopo di crearsi un deterrente o dissimulare la realtà.
In generale, mi rimanda all’idea di quando si smuove l’acqua del mare creando una schiuma che non permette di vedere nulla.
Anche se letteralmente, credo sia l’acqua residuale dai resti di un lavaggio, ovvero sporca. Quindi forse, metaforicamente parlando, quando cerchi di ripulirti invano, rilasciando solo acqua sporca. Rimane comunque qualcosa che non ti permette di vedere in modo trasparente.