Non solo temi avventurosi, ma profonde riflessioni di religione, scienza e filosofia, tanto da trasformare i suoi romanzi in vere opere morali e allegoriche della natura umana. Il capolavoro di Herman Melvill, Moby Dick, o La Balena, è stato faro per un illustre nostro concittadino, di cui parleremo in futuro, Stefano D’Arrigo, per la stesura del più grande romanzo messinese: Horcynus Orca.

Nonostante la portata dei suoi scritti e la sua corrispondenza con i grandi colleghi americani contemporanei, per Melville non fu affatto facile affermarsi come scrittore riconosciuto in vita, raccogliendo fama e riconoscimenti, solo diversi anni dopo la propria morte.

Come epilogo del suo periodo di scrittura più intenso (tra cui la stesura di Moby Dick), a causa di una mancanza di consensi e di ispirazione, Melville decide di effettuare un viaggio solitario in Europa e Terrasanta. Parte nel 1856 da New York alla volta di Glasgow, incontra a Liverpool l’amico, corrispondente e celebre collega Hawthorne (l’autore della Lettera scarlatta) e da lì si sposta verso sud. Sbarcherà a Messina il 13 febbraio dell’anno dopo. In città si ferma 3 notti, per poi ripartire il 16.

I suoi diari di viaggio assumono la connotazione del rapporto giornalistico. Sono diretti, immediati, quasi stenografici. Il suo approdo è così descritto: All’alba, le coste della Calabria e della Sicilia di fronte a noi. Ci avviciniamo verso le 10. L’una e l’altra sono molto alte e frastagliate, pittoriche. Molte case. Sulla cima delle montagne più alte, la neve. Ameno veleggiare nello Stretto. All’una gettiamo l’ancora nel porto, somiglia a una laguna. Giornata di pioggia. Mi perquisiscono per cercare carte eccetera. L’hotel è in una bella strada. Grande Chiesa. Mi son fatto smacchiare il soprabito.”

Messina nel 1850 circa


Come in una scena cinematografica hitchcockiana, la videocamera sembra saltellare da dettagli importanti a particolari assolutamente insignificanti. L’hotel è presumibile che fosse il Trinacria, lo stesso che abbiamo già incontrato nel reportage che
Gorkij fece relativamente alla soprano ungherese Paula Koralek e di cui sono disponibili le scioccanti sequenze fotografiche del crollo causato dagli incendi del post terremoto del 1908.

Melville dedica il 14 febbraio, un sabato, a incontrarsi con altri americani per una passeggiata. La sera prima era stato al caffè dell’Opera per incontrarsi con Lockwood, un medico della fregata americana USF Constellation, ormeggiata al porto di Messina, ma il rendez-vous era fallito. La mattina allora i due, insieme al Capitano Bell, comandante della nave, si recano, con il bel tempo, a fare una gita sui colli San Rizzo, a dorso d’asino. La vista è incantevole e abbraccia tutto lo Stretto.

Annota nel diario:I forti di Messina dominano la città. Larghi tratti di essa sono stati demoliti, cosicché ciò che resta possa essere controllato dal forte. Un quadrante nella chiesa. I torrenti che vengono giù dai monti passano attraverso la città”.

La sera torna all’Opera. Il Teatro è il Sant’Elisabetta (che poi prenderà il nome di Vittorio Emanuele) e in scena c’è il Macbeth di Giuseppe Verdi e, pare, che quella sera ci fosse lo stesso Verdi in persona a dirigere l’orchestra.

Dedicherà la domenica a una lunga passeggiata per la citta, in compagnia del dottor Lockwood. È carnevale e le strade brulicano di maschere fino a tarda sera. Evidentemente la mondanità cittadina coinvolge lo scrittore, normalmente molto misurato, il quale non nasconde di essersi lasciato trasportare dalla bellezza del momento:

È venuto in hotel il dottor Lockwood, s’è seduto, e mi ha proposto una lunga passeggiata. Lunga camminata per i lunghi sobborghi che costeggiano il mare. In vista dei monti della Calabria. L’angolo visuale è quello di Salvator Rosa [n.d.a. si riferisce evidentemente a una veduta di Messina, dipinta dal celebre vedutista napoletano, che lo stesso Melville deve aver visto]. Incontriamo maschere lungo la strada. Carnevale. Abbiamo camminato per sette o otto miglia. Ci siamo seduti sulle pietre, abbiamo chiacchierato tanto. Bella giornata. Mi ha dato un godimento considerevole. Tornato all’hotel per il pranzo verso le 6. Le strade, di sera, sono animatissime. Andato in giro con il dottore fino alle 10. Al caffè, gli habitués”.

Il giorno dopo, Melville si imbarcherà per Napoli, lasciando Messina, sua unica tappa siciliana, per sempre. Lui, uomo che il tormentato mare Atlantico l’ha vissuto sulla propria pelle, dall’esperienza di giovane mozzo a quella di baleniere di lungo corso e persino di ammutinato, avrà, per ironia della sorta, da annotare “Ho preso un passaggio in cabina di seconda e alla fine m’è toccato pentirmene amaramente.” Evidentemente attraversare lo Stretto non doveva essere un’operazione agevole neanche a quei tempi…

FiGi

Per approfondire:
Herman Melville. Dario italiano (trad. e introd. Di Guido Botta), Ed. Robin (2003).

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