Diciottesima puntata di questa rubrica, dedicata agli illustri personaggi che hanno fatto la storia di Messina e cha dalla toponomastica della città sono completamente ignorati. Le altre storie le trovate qui.

Quando Costantinopoli cadde in mano turca, nel 1453, i greci di quello che era stato il grande Impero Bizantino, si trovarono divisi tra l’occupazione turca e quella dei cattolici veneziani, che già da diversi secoli vantavano il loro dominio su alcune aree elleniche, per lo più insulari. Questo favorì il passaggio di molti intellettuali ed artisti di orientamento cristiano ortodosso verso la capitale di Creta, la veneziana Candia, certamente più libera e affine alla cultura bizantina, rispetto a quella del tremendo giogo islamico.

Così, in poco tempo, l’isola di Creta si ritrovò ad acquisire il ruolo centrale di culla della grecità per oltre due secoli, fino a quando, nel 1669, anche Candia non cadde in mano turca. In questo contesto, la Scuola Cretese del XIV secolo è senza dubbio l’espressione più fulgida dell’arte post bizantina, nata dal connubio tra la tradizione ortodossa e l’impronta dell’influenza veneta, in particolar modo di artisti come Tintoretto, Bellini e Tiziano.

Se, da un lato, il tratto inconfondibile e rivoluzionario di El Greco (pseudonimo di Domínikos Theotokópoulos) ha reso il suo autore universalmente riconoscibile nel panorama dell’arte del rinascimento spagnolo, dall’altro, il tratto più tradizionale e vicino alle radici grecobizantine di Michele Damasceno (Michail Damaskinòs) ha reso quest’ultimo probabilmente il più importante iconografo della Scuola Cretese. Pur conterranei e contemporanei, El Greco e Michele Damasceno, ebbero certamente due percorsi pittorici molto distinti.

Michele Damasceno lasciò la nativa Creta per arrivare a Venezia nel 1569, da dove, lo stesso anno, si sposterà a Messina in compagnia di altri due pittori grecobizantini: Nikolaos Grimanis e Pavlos di Gheorghios. Probabilmente, sullo Stretto venne attirato dalla committenza della fiorente comunità greca locale (di cui abbiamo già raccontato quando abbiamo raccontato la storia di Pietro Bembo). Damasceno resterà in città fino al 1573.

Le sole 3 opere del periodo messinese che sono sopravvissute ci ricordano una triste vicenda della nostra città. Esse fanno parte della ricchissima collezione giunta in Grecia il 20 gennaio del 1909. Quarantaquattro icone di grande formato, sei piccole, due vasche battesimali e alcuni frammenti lignei di un’iconostasi recuperate dalle macerie del grande Terremoto del 1908 dall’equipaggio della nave ellenica Sfaktiria e trasportate in Grecia, insieme all’archivio del consolato greco di Messina. Le preziosissime icone, datate tra il 1300 e il 1800, erano conservate a Messina nella chiesa di San Nicola dei Greci, chiesa distrutta e mai ricostruita che sorgeva nel piazzale antistante la Prefettura, dove oggi un’edicola votiva ne ricorda la storia.

La chiesa era un vero scrigno di tesori in quanto, ultima rimasta consacrata al culto greco-ortodosso in declino a Messina ormai da molti anni, aveva raccolto, nel tempo, l’eredità delle quasi quaranta chiese greche cittadine. Dopo il loro trasporto, le icone vennero ricoverate per alcuni anni presso l’arsenale di Salamina, versando in uno stato di conservazione molto precario. Solo nel 1916 venne avviato il loro restauro e, successivamente, esse andarono a costituire il cuore del Museo Bizantino e Cristiano di Atene, tutt’oggi il più importante museo del medioevo bizantino al mondo in cui occupano un posto di tutto rilievo. Le opere, oggetto di un’impresa di recupero a cavallo tra il salvataggio e il saccheggio, son tornate a Messina solo per una breve ma emozionante esposizione temporanea, ospitata dal Museo Regionale oltre un secolo dopo la loro partenza, nel 2013, fortemente voluta dalla Comunità Ellenica dello Stretto.

Le 3 grandi icone di Michele Damasceno, di 125 cm x 84 cm, rappresentano una Madonna Odighitria (ovverosia una Madonna indicante il Bambino come guida del popolo cristiano), un Cristo Pantocratore (un Cristo in posa severa e maestosa, nell’atto di benedire con le tre dita della mano unite) e la Santa Caterina. Esse appartenevano verosimilmente all’iconostasi della chiesa di Santa Caterina del Sinai, una Chiesa del XVI secolo edificata nei pressi della Chiesa di San Giovanni di Malta per accogliere i monaci greci del Monte Sinai di passaggio a Messina. Distrutta dall’altro grande terremoto, quello del 1783, non era stata più ricostruita.

Concluso il periodo messinese, Michele Damasceno si stabilirà nuovamente a Venezia, dove in otto anni eseguirà la maggior parte delle opere presenti nella chiesa bizantina veneziana di San Giorgio, evolvendo notevolmente il proprio stile, a causa delle influenze venete di Paolo Veronese e del Parmigianino presso la cui bottega opererà per un periodo. Terminerà la sua carriera e la sua vita nella natia Creta.

A Michele Damasceno sono attribuite in tutta Europa oltre cento opere con firma autografa.

FiGi

Per approfondire e consultare le opere: A.A. V.V., Immagine e Scrittura, Presenza greca a Messina dal Medioevo all’età Moderna. Fondazione Federico II Editore (2013).
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