La barba c’è, le corna no, ma poco importa: non sono gli attributi che fanno di Renato Accorinti, prossimo ad affrontare la sfiducia in aula, un perfetto “capro espiatorio”; non sono l’azione politica, le magliette “free-Tibet”, la logorrea, le bandiere della pace. Perché, la storia insegna, per essere “capri espiatori” sono sufficienti una condizione di crisi e un’ottima propaganda. E basta.
Già, la propaganda. Se proprio si deve definire “anomala” l’esperienza del primo cittadino di Messina, una delle ragioni si lega proprio a questo aspetto: in quasi quattro anni di governo, il sindaco, il “potere”, non ha saputo fare propaganda o, meglio, si è sentito soddisfatto, lui e i suoi, di una comunicazione autoreferenziale, quasi onanistica, che mandava in brodo di giuggiole i sostenitori senza penetrare i centimetri di “lippo” che coprono la città, formando una palude che si abbraccia con lo Stretto. Parallelamente, coloro ai quali la storia non aveva dato la possibilità di mettere in moto la macchina della propaganda, perché all’opposizione, sono riusciti pienamente nello scopo. Così, per quanto disorganizzati, estemporanei, coloriti, ognuno per suoi falli, i “nemici” di Accorinti hanno dipinto un capolavoro: eleggerlo capro espiatorio sull’onda della psicosi collettiva di una società liquida e rassegnata come quella messinese.
Accorinti, inoltre, nella grammatica messinese è diventato l’esempio perfetto per dimostrare l’efficacia del superlativo relativo: “il più incapace”, “il più imbarazzante”, il “più dei più”, che, pensando agli immediati predecessori, diventa il più dei meno.
Da quattro anni, sui social, fra commenti e link, si assiste a un tiro al piccione che neanche ai tempi d’oro di Capo Peloro vedeva sparare tanti fucili: prese di posizione, assunti incontestabili, quintali di accuse che, in crescendo, hanno tramutato lo sdrammatizzante “è colpa di Accorinti” dei sodali in una mozione di sfiducia.
Ma come nasce l’Accorinti-capro espiatorio? In molti casi, da questioni personali, frustrazioni derivate dalla sconfitta, strategie politiche e ambizioni, spesso mal celate, di potersi candidare alla successione (o quantomeno farlo in cambio di una contropartita per rinunciare). È innegabile, parallelamente, che, però, il sindaco abbia sbagliato più e più volte. Un po’ come il capitato del “Titanic” alla vista dell’iceberg, è andato dritto per la sua strada, seguendo “intuizioni”, “vibrazioni” e “consiglieri fraudolenti”, non valorizzando la sua ignoranza (non conoscenza) come stimolo per affrontare le questioni al meglio, delegando con fiducia cieca ad altri, sentendosi al timone di una nave dove i vogatori agitavano i remi in maniera antitetica. In più, a ogni contestazione, in sfregio alla pratica buddista, Accorinti ha reagito talvolta con virulenza, quasi fosse stato compiuto un atto sacrilego nei suoi confronti, nei confronti di una persona che, per storia personale, un tempo credeva nella sacralità degli individui ma non delle cariche istituzionali.
La Messina di Accorinti non è peggio di quella più con più soldi (virtuali) del suo predecessore, anzi per qualcosa è persino migliore. In ogni caso, da come si guardi la questione, quanto fatto è poco per chi nutriva tante speranze al momento del voto. E la delusione è diventata humus per i nemici di sindaco e giunta.
Tornando alla sfiducia, e al netto della psicosi collettiva, cosa si imputa al primo cittadino? Alcuni, chi l’ha sostenuto o votato, accusano Accorinti di aver tradito i presupposti della propria candidatura, di non aver condotto un’azione politica efficace, di essere stato più attento all’immagine (la sua, non della città), di non aver fatto abbastanza, di essersi circondato di persone non all’altezza o con un passato che stride con “Cambiamo Messina dal basso”. E gli altri, ovvero i consiglieri che hanno firmato la mozione e quelli che andranno a votare? Beh, una parte soffre di sdoppiamento della personalità, avendo fatto parte del consiglio e del governo della città anche durante le precedenti amministrazioni, alle quali vanno imputati (è innegabile) tanti guasti ereditati da Accorinti. Una rimozione del passato, la loro, che può aver cittadinanza solo a Messina, dove la memoria è un accessorio poco utilizzato. In aula, tra i detrattori, sono presenti anche consiglieri debuttanti. Essi, ovviamente, non hanno alcuna responsabilità riguardo al passato ma, proprio del passato, hanno un ricordo strano, alterato: da come raccontano il decadimento di Messina, infatti, sembra che fino a giugno 2013 lo Stretto fosse un Cantone svizzero.
Arriva la sfiducia, ma le ragioni quali potrebbero essere? Una città con le terga così a terra da non rialzarsi neanche per prendere gli autobus nuovamente in giro o, più prosaicamente, la sopravvivenza? In tutta franchezza, la seconda ipotesi è quella che sembra muovere gran parte dei detrattori interni ed esterni a Palazzo Zanca. Perché, tra politiche possibili e regionali certe, una tornata elettorale a cui agganciare le amministrative è necessaria per poter avere successo, laddove, “aver successo”, non significa solo riavere il potere in città ma, più tristemente, mantenere il proprio scranno e rimettere in circolo sottogoverni e strapuntini.
Arriva la sfiducia, ma chi sono i protagonisti? Da una parte, c’è un primo cittadino che non ha percezione delle proprie carenze politiche; che avrebbe dovuto rinnovare, ma, spesso, è andato a braccetto, attraverso scelte e nomine, con quel passato che avrebbe dovuto e potuto cancellare; che, mese dopo mese, ricorda sempre più un giapponese a Seconda Guerra Mondiale terminata. Lo stesso primo cittadino, e ancor più la sua amministrazione, hanno però il diritto e il dovere di concludere il quinquennio e di essere giudicati per il complessivo dell’attività, non per una decina di motivazioni messe in fila che non giustificano, allo stato, la sfiducia. Sul fronte opposto, invece, alle spalle di protagonisti e figuranti della guerra contro il capro espiatorio c’è chi ha gestito Messina negli anni precedenti. Gente, in larga parte, già giudicata dai tribunali, ma, con tutta evidenza, non ancora dalla Storia. Nè dalla città…