Capuliare
Capuliare è un parola quasi onomatopeica, ovvero quella figura retorica che riproduce il rumore o il suono associato all’oggetto a cui si vuole fare riferimento mediante un procedimento iconico tipico del fonosimbolismo. Basta sentirla pronunciare, infatti, per riportare alla mente il mulinare delle braccia intente a rimescolare degli ingredienti. Carne, in questo caso, e nello specifico quella del macinato, che a queste latitudini è capuliato oppure non è. Incidentalmente, lo stesso movimento compulsivo e reiterato è stato declinato per descrivere un preciso atto di sopraffazione fisica: “vidi chi ti cumminu a capuliatu”, che letteralmente potrebbe essere tradotto con “ti riduco in poltiglia”.
Ma c’è chi si è spinto pure oltre: la fantasia del messinese spesso non solo non si ferma all’evidenza, ma travalica anche le intenzioni, arrivando a usare il verbo capuliare in un’accezione che mira al disfacimento dell’autostima di chi la subisce: “Ma si pi rustiri o pi capuliari?”. Forma verbale di umiliazione ultima di chi non trova altre parole per esprimere il suo sdegno più autentico e viscerale.
molto interessante .vorrei SUGGERIRE A PROPOSITO DI CALIA L’ESPRESSIONE ALLASCA I MANI DU CALIATURI.aNCHE SE RITENGO CHE ALLASCARE SIA PIU’ CATANESE L’ESPRESSIONE VIENE USATA MOLTO DAI MESSINESI.
Cutuliari
A casa mia, “che ciolla vuoi?” si usa eccome.
Mi sorprende anche che a un linguista sia sfuggito che la ripetizione del termine produce una frase di chiara rivendicazione di mascolinita:”c’ho la ciolla!”
Ahah, bellissimo ”c’ho la ciolla!”