Banniare

 

Le origini dell’antica e nobile arte della banniata, diffusa in tutta la Sicilia, si perdono nella notte dei tempi e sono una delle testimonianze più autentiche di secoli e secoli di dominazioni e influenze culturali. Per chi non lo sapesse, si tratta di una strillata cantilenata, il cui nome deriva da bando, utilizzata prevalentemente da venditori ambulanti, pescivendoli e arrotini.

A differenziarla dalle canoniche urla, una serie di elementi specie-specifici che la rendono inconfondibile: la cadenza litanica e salmodiante, il timbro arabeggiante da Muezzin e soprattutto l’assoluta incomprensibilità di ciò che viene detto. Lamento monotono e monotòno, la banniata si caratterizza infatti principalmente per i ghirigori e i solfeggi della voce, l’estensione dell’ugola e la reiterazione dei fonemi. Se poi le frasi pronunciate abbiano un significato compiuto o meno, è una questione assolutamente marginale.  Del resto, come recita un detto in uso già prima del terremoto del 1908, “a robba banniata è menza vinnuta”.

Luogo eletto dei banniatori messinesi è il mercato di Giostra, che per un giorno a settimana si trasforma in un concorso canoro che ricorda al contempo un quartiere popolare di Kabul e una celebre scena di Totò Le Mokò, fra virtuosismi canori alla Demetrio Stratos in preda a una crisi mistica e mutande in filo di Scozia reclamizzate in si bemolle. Molto meno divertente, sebbene altrettanto folcloristico, è invece essere svegliati di prima mattina, in una domenica di riposo, dal banniatore di turno che a bordo della sua lapa truccata propina all’intero quartiere le sue imperdibili soluzioni per ripare ombrelli e cucine a gasse. L’accostamento dei quali risulta a oggi sconosciuto ai più.

 

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Giuseppe Carcione
27 Luglio 2017 18:44

Bastasu e babbannacchiu!