MESSINA. Il 40% degli incassi in meno per i ristoranti, il 33 per i bar e il 27 per le pizzerie, mentre i ristori latitano e i debiti aumentano, in attesa della resa dei conti finale che avverrà probabilmente fra 6 o 12 mesi, quando tutti i nodi verranno al pettine. La pandemia da Covid 19 che si è abbattuta come un tornado sull’economia cittadina (qui tutti i dati) si è accanita in modo particolare sul mondo della movida, della ristorazione e dell’intrattenimento, fra le attività più colpite dalla crisi a causa delle restrizioni imposte dai vari decreti e dalle ordinanze, che fra chiusure imposte, “colorazioni” cangianti e contingentamenti, hanno dato il colpo di grazia a numerose realtà,  “cancellando con un colpo di spugna quei pochi e timidi segnali di ripresa che cominciavano ad affacciarsi prima dell’era Covid”, come spiega il presidente di Confesercenti Alberto Palella.

Per capire l’entità della crisi basta farsi un giro per le strade della città, dove aumentano di giorno in giorno le insegne spente e i cartelli di vendita e di affitto, eppure, fino ad ora, le aziende che hanno chiuso i battenti a Messina e provincia sono “appena” una cinquantina. La maggior parte degli imprenditori infatti resiste, per volontà o per necessità, malgrado i tanti affitti arretrati (con l’incognita ventura degli sfratti), i prestiti da parte della banche (che andranno restituiti), gli aiuti e gli sgravi a intermittenza (quando e se arrivano), le bollette da pagare nonostante le saracinesche abbassate e l’incubo di dover i rimpiangere i tanti sacrifici e i tanti investimenti fatti (spesso con l’aiuto dei genitori e delle loro buonuscite).

«Il settore della ristorazione – spiega Palella – è in assoluto fra quelli che muovono di più il Pil cittadino, considerando il numero dei dipendenti e l’effetto “domino” sugli altri comparti. Il timore è che molte attività che a tutt’oggi stringono i denti debbano ancora fare i conti con le conseguenze della pandemia, che si faranno sentire più in là nel tempo».

A Messina, dalla Stanza dello Scirocco al Beers-hop, passando per il Paladine, sono tanti i locali e le realtà commerciali che per un motivo o l’altro hanno deciso di gettare la spugna, mentre tanti altri, che di chiudere non hanno alcuna intenzione, non sanno ancora come e se potranno ripartire (come ad esempio i live club). Ognuno fa storia a sé. Con la propria realtà, le proprie vicissitudini e i problemi individuali. Quattro testimonianze, fra chi continua a lottare contro le restrizioni e la burocrazia e chi, sfidando la sorte, ha deciso di mettersi in gioco nel periodo più buio di sempre, con la convinzione che davvero, presto o tardi, possa sul serio andare “tutto bene”.

IL BOHEMIA. È il febbraio del 2020 quando i titolari del ritrovo Bohemia decidono di avviare la loro attività e di rinnovare i locali di via dei Verdi, procedendo con l’ordine dei materiali e affidando l’incarico a una ditta. Tempo un paio di settimane e scoppia la pandemia, costringendo i giovani imprenditori a rinviare tutto a maggio e ad accollarsi le frattempo le spese dell’affitto. Poi arriva l’estate e come ogni anno l’intera città si trasferisce sulla riviera. I lavori all’interno del locale vanno avanti fra agosto e settembre, finché finalmente il 7 di ottobre si alzano le saracinesche, con l’illusione di essersi lasciati alle spalle il periodo più buio. Ma è solo una speranza vana, perché il 24 ottobre arriva la nuova chiusura, imposta dalla seconda ondata, con la necessità di mettere in dipendenti in cassa integrazione e di continuare comunque a pagare l’affitto al 100%. La situazione non migliora nei mesi successivi, quando il locale riesce ad aprire solo per qualche giorno (3 volte a Gennaio), finché a Febbraio arriva la nuova mazzata: si chiude un’altra volta. Il tutto senza poter accedere ad alcun ristoro (non avendo un bilancio e una dichiarazioni di fatturato relativa al 2019) e con l’aggravante delle tasse e delle bollette. «Spero – spiega Sacha Cardile, uno dei titolari – che il Comune possa venirci incontro con delle agevolazioni locali, come ad esempio uno stallo gratuito fino a dicembre 2021 o degli sgravi sulle utenze, dall’Amam alla Tari, “che si è stata ridotta, ma non può essere pagata il 31 gennaio dopo un mese di assoluta chiusura, per di più durante le festività (fra Natale, Capodanno e poi San Valentino), con incassi che non potremo recuperare in alcun modo».

 

 

IL VICOLO 33. Un po’ meno travagliata è la storia del “Vicolo 33– Spirits and Kitchen, locale aperto circa 3 anni e mezzo fa sulla cortina del porto da tre soci (e amici), che come tanti altri loro colleghi hanno dovuto stringere i denti, barcamenandosi fra Dpcm, zone rosse e ordinanze varie. «Passare dalla zona gialla a quella arancione è un problema per tutti – raccontano Giovanni e Giuseppe – ma per noi locali forse è ancora peggio, dato che dobbiamo comunque acquistare i materiali e sostenere delle spese, a fronte dei mancati incassi. Il momento più brutto è stato sicuramente a metà ottobre, quando siamo stati costretti nuovamente a chiudere con l’illusione di poter riaprire almeno a Natale. Quello più positivo, se si può definire così, è stato a settembre, quando abbiamo registrato dei numeri che non si vedevano da tanto tempo». I ristori? «Purtroppo non possono essere mai abbastanza. Lo Stato è stato più celere, mentre quelli comunali ancora li aspettiamo. Sappiamo che qualcuno li ha ricevuti ma noi ancora non li abbiamo visti. Più che sul dare, sarebbe stato forse più opportuno ragionare sul togliere, dato che le spese restano quelle. È vero che lo Stato ti dà un credito d’imposta, ma materialmente quei i soldi non li hai. Le utenze arrivavano anche quando eravamo chiusi e i costi fissi dell’energia ci sono lo stesso. Le conseguenze arriveranno dopo, per tutti… Durante il primo lockdown, ad esempio, lo Stato ci ha permesso di accedere a un finanziamento con un tasso veramente basso, ma si tratta comunque di rimandare il problema. Ti ritrovi ad avere liquidità e un po’ di ossigeno ma fra 48 mesi dovrai iniziare a pagare, e una rata di quasi 600 euro incide eccome sui bilanci di un’azienda».

 

 

DAI DAI. È stato inaugurato lo scorso 11 marzo il nuovo “Dai Dai”, pub bistrot sorto nei locali che anni fa ospitavano lo storico The Duck. Giusto il tempo di aprire, un giovedì, per poi chiudere tre giorni dopo, di domenica, quando è cambiata nuovamente la colorazione delle regioni. Una scelta coraggiosa e rischiosa, quella di intraprendere una nuova avventura nel bel mezzo di una pandemia mondiale, ma con la speranza che ben preso si possa – davvero – tornare alla normalità. «Il nome stesso – raccontano Nino Cucinotta e Alessio Toscano Raffa – è un incitamento alla voglia di ripartire. Dai Dai nasce come un luogo di incontro che si caratterizza non solo per la ristorazione di qualità ma anche per la convivialità: uno spazio “multifunzionale” che in base alla fasce orarie possa cambiare pelle, dando la possibilità agli avventori di bere una birra e mangiare un panino, ma anche di ascoltare un concerto, vedere una partita in tv  o giocare a Monopoli». Anche in questo caso niente ristori: «Noi non abbiamo diritto a nulla, del resto già ci sono grossi problemi per chi aveva dei fatturati. Non sarebbe nemmeno corretto nei confronti di chi è aperto da tempo».

«In questa città, adesso come non mai – concludono – c’è bisogno di socialità e di spazi aggregativi, anche perché quelli pubblici sono piuttosto carenti. È un momento estremamente difficile per tutti. Chiunque abbia un minimo di esperienza nel mondo della ristorazione sa benissimo che con il pranzo o il delivery non si va avanti: sono solo palliativi. I locali, come tante altre attività, hanno bisogno di vivere e queste limitazioni cominciano a diventare insostenibili».

 

LA CULTURA. Last but not least, in mondo della cultura, da sempre l’ultima ruota del carro in un Paese in cui vige ancora la convinzione che con la musica, l’arte e i libri non si campi. «Siamo come la lumaca spaccata a metà di Enzo Mari: dimezzati», racconta Venera Leto di “Colapesce – libri gusti idee”, un cocktail bar-libreria nato sulla scia dei caffè letterari che hanno fatto la storia del ‘900. «Il nostro mondo di fare cultura è strettamente connesso allo stare insieme e alla socialità. Già da un anno ci siano attivati con il domicilio consegnando i libri a casa con la bici e sono abbastanza contenta della richiesta, ma è pur sempre una fruibilità parziale».

Capitolo ristori: «Io tendo sempre a vedere gli aspetti positivi e ad accontentarmi di quello che ci è stato dato, ma il danno è inquantificabile. La mia è una forma di resistenza: partire da quello che c’è e cercare di continuare a fare il meglio, anche con il poco che abbiamo avuto. Credo che questa fase che abbiamo vissuto sia un’opportunità per ripartire meglio, e anche la mia scelta è stata quella di ricominciare, iniziando da una riconversione ecologica, che è la cosa più importante. Dobbiamo imparare anche a fruire il tempo in maniera diversa, con più lentezza, o a vivere la città guardandola da altri punti di vista. La selezione che ho fatto dei miei libri è legata proprio a queste tematiche, con la speranza che davvero riusciremo a mettere in pratica quello che stiamo leggendo». 

 

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