MESSINA. Il sindaco Cateno De Luca non si dimetterà domani ma, sostiene, fra una settimana. È quanto ha annunciato nel corso della diretta serale, in cui ha spiegato di voler partecipare da primo cittadino all’incontro fra i sindaci metropolitani e il Papa organizzato dall’Anci il 5 febbraio (quindi oltre i 20 giorni fra l’annuncio e l’ufficializzazione delle dimissioni). “Cari asini volanti – ha detto, riferendosi ai consiglieri – mi dispiace ma mi dovete sopportare una settimana in più. Posticipiamo esattamente di sei giorni. Non vi preoccupate, non si andrà oltre”. E quindi, con una mossa che ormai, dati i precedenti, era quotata alla pari, De Luca, dopo averlo annunciato per mesi (e senza che la circostanza fosse stata sollecitata da nessuno), non si è dimesso, annunciando una nuova data, nonostante sfugga ai più l’impedimento di presenziare all’udienza col papa da dimissionario, come aveva dichiarato senza poi dare seguito alla sua stessa dichiarazione. Esattamente come ha fatto le precedenti volte. Ecco quali, dalla prima all’ultima.
La prima volta (col bis): «O passa Arismè o mi dimetto»
«Non chiamatelo ricatto, chiamatelo l’ultimo appello da parte di un sindaco che il suo mestiere vuole farlo in un certo modo e non vuole essere ascritto alla lunga serie di fallimenti che hanno contraddistinto questa città». La prima “minaccia” di dimissioni da parte del sindaco Cateno De Luca risale all’agosto del 2018, quando il primo cittadino (sindaco da appena due mesi) pose al consiglio comunale il primo dei tanti “aut aut” che hanno caratterizzato fino ad ora il suo mandato, fissando la data fatidica al 5 settembre, giorno della votazione in consiglio comunale su Arismè, l’Agenzia per lo sbaraccamento. Un annuncio che fece drizzare le orecchie ai suoi sostenitori, pronti a rispondere alla chiamata alle armi e a scendere in piazza “contro la casta del consiglio comunale”. Qualche giorno dopo (il 9 settembre) ecco il bis, con De Luca che accusa i consiglieri di essere degli “asini volanti” e ribadisce l’intento di lasciare.
Il “gioco al rialzo” con il Consiglio comunale
Non passa che qualche settimana e il sindaco lo rifà: è il 28 settembre del 2018 quando De Luca, in carica da meno di tre mesi e con due “minacce” già all’attivo, con un colpo di scena presenta di nuovo le proprie dimissioni da sindaco di Messina. Una lettera di poche righe, in cui comunica la decisione al segretario generale, al presidente del consiglio comunale e “alla comunità messinese”. Quindi stavolta, oltre alla minaccia, De Luca le dimissioni le firma effettivamente. Il motivo? La mancata discussione, in Aula, della delibera sulle modifiche al regolamento del consiglio comunale, che De Luca aveva “imposto” con una sua delibera e il consiglio aveva accolto con una propria proposta (che aveva fatto ritirare la sua a De Luca). Un addio in tempi record? No, dato che le dimissioni (scritte, rassegnate e protocollate) diverrebbero effettive dall’8 ottobre (nella lettera era specificato che avrebbe mantenuto le funzioni fino al 7 ottobre), e per legge De Luca ha facoltà di ritirarle entro venti giorni, non essendo irrevocabili: quindi, se volesse cambiare idea, De Luca avrebbe tempo fino al 18 ottobre, secondo l’articolo 53 del testo unico degli enti locali. «Il mio non è un ricatto, ma un gioco al rialzo con il consiglio comunale», spiega il sindaco.
Cosa succede dopo?Il 30 settembre, quando il sindaco chiama a raccolta i suoi fedelissimi a Piazza Municipio (invitati a partecipare in massa) per uno dei suoi periodici comizi, con la presentazione della relazione di inizio mandato. L’incontro è un vero e proprio bagno di folla e si conclude dopo tre ore e mezza di monologo ininterrotto: «Devo restare o no? Domenica saremo qui a discutere le manovre del Salva Messina, e voi mi direte se vi piace oppure “De Luca vai a fare in culo”». Quindi, in un crescendo rossiniano, rilancia e contropropone al consiglio comunale un ritiro spirituale, fissato per la domenica successiva. Tutti attendono un riscontro sulle sue dimissioni, annunciate già tre volte e messe quindi nero su bianco il venerdì precedente.
Arriva quindi la fatidica data del 16 ottobre, con la votazione in Aula del Salva Messina e la revoca delle dimissioni. «E adesso lascio il mio incarico all’Ars», commenta il sindaco, che però torna sui suoi passi 24 ore dopo, quando il suo successore, Danilo Lo Giudice, gli chiede di “tenergli caldo il posto” da deputato regionale ancora per un mese e qualcosa. “Va bene Danilo! Vediamo se posso rimanere in carica fino a fine novembre ma non oltre!”, acconsente il sindaco di Messina nel corso di un curioso siparietto tra i due.
Tutto finito? Macché. Passano due giorni e riecco lo spettro delle dimissioni: De Luca dichiara che non vuole essere il sindaco che dichiarerà il dissesto. In caso di default si dimetterà da primo cittadino, farà le valigie e si trasferirà in pianta stabile a Palermo. Segno che la recente paternità di Danilo Lo Giudice c’entrava poco con la sua decisione di procrastinare le dimissioni dall’Ars. La svolta, sul fronte regionale, avviene il 21 ottobre, nel corso di un altro comizio: De Luca annuncia il suo addio al Parlamento regionale (“Ho indugiato perché dovevo persuadere il consiglio comunale”), formalizzato poi il 24, e contestualmente svela il suo grande obiettivo: «Il mio sogno è tornare a Palermo da Governatore: il mio non è un addio, è un arrivederci».
L’addio a Palazzo dei Leoni e lo “sciopero della fame”
Si chiude il 2018 e il nuovo anno si apre sulla falsariga del precedente, con un comizio di Capodanno in cui conferma tutta la Giunta, che proprio il giorno prima aveva rassegnato le dimissioni, (una mania che evidentemente è contagiosa).
Circa un mese dopo riecco le dimissioni, non da primo cittadino stavolta, ma da sindaco metropolitano, formalizzate poi il 1 maggio con la consegna in Prefettura della fascia blu per protesta contro il default delle ex Province regionali. Un mese dopo, a giugno, sarà invece la volta dello sciopero della fame più breve della storia. De Luca è ovviamente ancora sindaco metropolitano.
Mi dimetto a dicembre, anzi no
Dopo qualche mese di stand-by, la tregua apparente con il consiglio comunale termina il 12 giugno del 2019 , giorno in cui De Luca torna a minacciare le dimissioni a causa del rifiuto dell’aula di trattare la delibera di fuoriuscita dalla fondazione Taormina Arte (che lui stesso aveva chiesto di posticipare un mese prima): un argomento di scontro con il consiglio che si protrae fino ad oggi. «Ho dovuto prendere atto che in Consiglio Comunale non ci sono le condizioni per poter attuare il nostro programma amministrativo votato dal 68% dei messinesi», spiega il sindaco, che questa volta annuncia le sue dimissioni con tre mesi di anticipo: «Condurrò la mia azione amministrativa fino a dicembre», annuncia, affidandosi alla Madonna di Montalto, “che oggi ho avuto la possibilità di venerare”. Passano nove giorni e il sindaco ribatte la palla in campo avversario che nemmeno John McEnroe: «Vogliono le mie dimissioni immediate? Si dimettano prima loro», riferendosi ai 32 consiglieri, accusati (fra le altre cose) di sciacallaggio nei confronti dei lavoratori e di fare ostruzionismo nei confronti della città. Tuttavia ribadisce: «Ho già detto che a dicembre chiudo questa esperienza». Trascorso fischiettando dicembre, si apre un nuovo capitolo, con l’estenuante querelle sul “Cambio di Passo”.
La telenovela del “Cambio di Passo”
«Ho saputo ufficiosamente che si dovrebbe votare o il 24 o il 31 maggio. Le mie dimissioni saranno presentate tra il 20 ed il 29 marzo». L’annuncio risale al 20 gennaio 2019, quando De Luca pone il suo ennesimo diktat al consiglio comunale. La questione in ballo, questa volta, è la piattaforma “Cambio di passo”, con la relativa richiesta di “fiducia” dell’Aula su cento delibere da prendere il blocco, altrimenti saranno dimissioni (il numero richiesto da De Luca per restare in carica è quello di 17 voti favorevoli). La vicenda giunge a conclusione il 27 gennaio, quando, dopo tre interminabili sedute di consiglio, discussioni infinite, insulti, comunicati al fulmicotone e cambi di casacche, arriva l’ok da parte dell’Aula con il sì di 16 consiglieri comunali. De Luca rimane sindaco.
Covid, e le dimissioni strappate in diretta
Prima, a inizio gennaio, le “indiscrezioni” raccolte dall’Ansa su un suo possibile addio. Quindi l’annuncio ufficiale sulla sua pagina Facebook: il sindaco Cateno De Luca annuncia le dimissioni ancora una volta (a meno che non venga sollevato dal suo incarico il direttore generale dell’Asp Paolo La Paglia, circostanza avvenuta qualche settimana dopo). Il motivo del nuovo annunciato addio? La gestione della pandemia in città, gli scontri con l’Asp (dovuti alle tante e palesi criticità riscontrate) e il clima ostile che si è creato dopo l’emanazione, e conseguente autorevoca, della controversa e pasticciata ordinanza “lockdown” che colorava la città di un rosso ancora più intenso (con la conseguenza che mezza città fosse convinta che Messina non fosse più zona rossa). La situazione, già piuttosto tesa, è precipitata quando un De Luca amareggiato e furioso ha annunciato in diretta il dietrofront sul provvedimento e un suo ritiro di qualche giorno a Fiumedinisi (durato meno del previsto). Il 4 febbraio diretta fiume da tre ore e mezza, poi qualche minuto prima della mezzanotte, e quindi dei venti giorni di tempo per ripensarci, davanti a un po’ di bicchieri di prosecco De Luca, con un teatrale (e telefonatissimo gesto) strappa le dimissioni. E insomma, finisce di nuovo a babbio. La tregua è durata un anno. Tra una settimana se ne saprà di più.
Sì certo, come no… E io sono babbo Natale …
Io credo ci sia un motivo legale. Qualcosa, qualche scadenza, o qualche norma che conferisce potere o esime responsabilità e che giustifica la puntualità di questo appuntamento. Sarebbe interessante leggere il manuale del buon amministratore scritto da Cateno, se uno avesse tempo nella vita per queste cose.
Più che altro un trattato di psicanalisi ..