Il mondo è una prigione

(Guglielmo Petroni; Abbott, 2020)

 

 

Guglielmo Petroni (1911-1933) è stato uno scrittore e un pittore italiano. L’autore ci restituisce, in questa sua prima opera, una testimonianza diretta della Resistenza italiana. Questo libro, scritto nel 1945, descrive i fatti attraverso lo sguardo dell’autore: un ragazzo rinchiuso per le proprie idee che riporta con estremo candore l’incubo di vivere 31 giorni di prigionia efferata presso la prigione di Via Tasso a Roma. Petroni veniva da una famiglia povera e semianalfabeta: nonostante abbia avuto una formazione da autodidatta, la prosa letteraria di questo testo ha una levatura altissima. Leggendolo è possibile immaginare esattamente gli spazi angusti, bui, i personaggi che si avvicendano e soprattutto la bieca tirannia di chi imprigiona. Il momento più elevato si raggiunge quando descrive la liberazione e lo smarrimento che ne consegue; camminando per le vie delle città il ragazzo riflette sul proprio destino e sul proprio futuro, provando quasi nostalgia per quella misera cella onesta nella sua angustia. Petroni ha infatti la sensazione di essere ancora vittima di una forma di prigionia e così si interroga: Non è forse la prigione una metafora del mondo e il mondo stesso una prigione?

Lettura resistente indispensabile per la formazione dei ragazzi di qualsiasi età

 


 

 

Elogio delle vagabonde

(Gilles Clement; Derive e Approdi, 2013)

 

 

Dalla prefazione di Andrea De Salvo: «Panace di Mantegazzi, porracchia sudamericana, fico d’India, papavero sonnifero, poligono del Giappone, erba della Pampa… trasportate dal vento, dagli animali o dalle suole delle scarpe, anche nelle nostre contrade le erbe vagabonde hanno conquistato, con coraggio e vitalità, giardini, scarpate e terreni incolti. Eppure, le erbe vagabonde non hanno buona nomea: le si chiama anche erbacce, piante selvatiche, piante infestanti e spesso si vieta loro un diritto all’esistenza. Piante nemiche, ma davvero così pericolose?
Gilles Clément, paesaggista francese e inventore del «giardino in movimento» nel quale coltiva felicemente queste piante dai nomi esotici, in questo libro sceglie di farne l’elogio. Di queste erbe racconta la storia, le origini, il modo in cui le ha incontrate. E spiega come l’uomo, i diserbanti, il cemento, i dissodamenti e le coltivazioni industriali abbiano permesso a queste piante randagie di insediarsi e crescere. Coniugando il talento del giardiniere a quello di scrittore, in nome della difesa della mescolanza planetaria, ci consegna un libro dove letteratura e botanica coesistono a difesa della diversità».

Lettura resistente per riuscire ad estirpare dal nostro sguardo ogni metaforica erbaccia e trasformarla in un incredibile giardino

 


 

 

Non sono vinta

(Amalia Guglielminetti; Rina Edizioni, 2019)

 

 

Dal sito dell’editore: «Questa antologia raccoglie scritti e produzione poetica di D’Andrea in un arco temporale tra il 1919 e il 1932, ricostruendo il suo percorso politico e civile in difesa dell’anarchia e dell’antifascismo. Sono pagine vere, poetiche, accorate, che dimostrano un instancabile lavoro e una lotta incessante per lanciare un grido di opposizione all’oscuro flagello fascista. Sono la testimonianza del contributo e del sostegno per la difesa comune della libertà, ispirandosi agli ideali di giustizia civile, incitando alla rivolta, polemizzando contro la supremazia e il dottrinarismo ecclesiastico e lo sfruttamento da parte dell’autorità dello Stato, rivendicando i principi di solidarietà e collaborazione per combattere la maschera falsa, vile e ignominiosa del terrorismo reazionario che inganna e opprime il popolo. È un sentimento di ribellione, e di conforto emotivo allo stesso tempo, quello che anima ogni parola, ogni verso di D’Andrea, celebrando l’eroismo e il sacrificio dei compagni d’esilio, Borghi, Bresci, Gori, Lucetti, Sacco, Vanzetti, che come lampi di luce, fiamme solitarie, torce nella notte indicano la via per la redenzione e la difesa di un ideale di emancipazione sociale e di fratellanza tra tutte le genti calpestate dalla barbarie del totalitarismo».

Lettura resistente perché la Guglielminetti ci insegna che la poesia può essere un’arma contro l’oppressione e il sopruso

 


 

 

La farina dei partigiani

(Andrej Marini Piero Purich; Alegre Edizioni, 2020)

 

 

Dal sito dell’editore: «Racconto del “secolo breve” e di tre generazioni, La farina dei partigiani ha l’andamento di una tromba d’aria: comincia a ruotare in Bisiacaria – il territorio tra Trieste e il Friuli – per poi allargarsi all’Europa e al mondo intero. Con il cuore che batte nella Resistenza e i piedi piantati nelle lotte sul lavoro, Piero Purich – storico e narratore – e Andrej Marini – discendente della dinastia operaia e antifascista Fontanot-Romano-Marini – ricostruiscono una vera e propria saga familiare e proletaria.
La storia, molte storie, vicissitudini di lavoratori comunisti a cavallo tra confini e culture, tra epoche ed epopee. Dai campi profughi austriaci durante la grande guerra all’emigrazione clandestina in America, dalle lotte nei cantieri navali di Monfalcone alla guerra partigiana in Italia e Slovenia, dall’idealistica partenza per “costruire il socialismo” in Jugoslavia alle amare delusioni nei confronti di Tito, dello stalinismo e del Partito comunista italiano, per arrivare al tardo Novecento, alle esperienze di Andrej a Panama, in Nigeria, in Libia e in Giordania».

Lettura resistente consigliata per non smettere di lottare per le libertà

 


 

 

Prigione n.5

(Zehra Doğan; Becco giallo, 2021)

 

 

Dal sito dell’editore: «ll diario dal carcere dell’artista, attivista e giornalista curda Zehra Doğan. Una testimonianza autobiografica di straordinario coraggio e profonda ingiustizia. La rabbia, la resistenza e la ribellione di una giovane donna condannata per un disegno. “Prigione numero 5” è il risultato di un lavoro ostinato e creativo che ha trasformato quasi tre anni di reclusione in resistenza e lotta. È la storia di Zehra Doğan, una attivista, giornalista e artista contemporanea curda, condannata per un disegno e gettata nella prigione numero 5 di Diyarbakir, nella Turchia orientale. Una prigione inscritta nella storia del paese come un luogo di persecuzione, ma anche di resistenza e di lotta del popolo curdo. I disegni che lo compongono, fatti uscire clandestinamente dalla prigione numero 5, sono stati fatti da Zehra Doğan nonostante la mancanza di materiale, sfidando muri e divieti. Le idee non possono essere prigioniere. Trovano la loro strada, scivolano dentro le fessure, attraversano le finestre con le sbarre e le crepe dei muri. Evitano agili il filo spinato. Raggiungono l’esterno della prigione come rami d’edera. E alla fine, arrivano a noi».

Lettura resistente per riflettere sul potere dell’arte e della creatività

 

 

 

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