Una volta a settimana io e mia moglie ci rechiamo nottetempo presso una cappellina adiacente la Chiesa di San Gabriele e ci concediamo due ore di adorazione eucaristica. Nella pace del silenzio notturno abbiamo imparato in quest’ultimo anno e mezzo a sviluppare un senso, l’ascolto, che è ben differente da quello ad esso similare dell’udito, che mettiamo in funzione di giorno. Sarà, tutto questo, da ascrivere alla Persona che ci troviamo di fronte…..
Perché ho richiamato tale circostanza? Non certo per indulgere alla descrizione di un’esperienza che rimane affatto intima e privata. Ludwig Wittgenstein ha scritto che di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere. Dunque taccio.
Mi premeva piuttosto riflettere sull’uso della parola, orale e ancor più scritta, che ci accade sempre più spesso di sperimentare nella vita quotidiana. Un uso sempre più impastato di ostilità, malumore, intolleranza, acredine, violenza. Un perenne scontento di vivere che trova i suoi sbocchi nella critica perenne, nel sentirsi sempre al di qua o al di là di una barricata, nell’incapacità di sottrarsi al gioco al massacro di chi non la pensi come noi.
Oggi non ci si limita più a dichiarare semplicemente la propria posizione, il proprio modo di pensare, i propri valori. Si sente il bisogno di fare di tali valori le armi contundenti da brandire in una battaglia senza fine condotta quasi sempre con cattiveria, e senza una minima dose di ironia, contro altri propri simili.
La nostra è un’epoca nella quale sempre più si è smarrito il senso della libertà, del saper bastare a se stessi. Chi può affermare, oggi, di conoscere quest’ultima dimensione? Nella modernità che ci avvolge come placenta, per una sorta di cieco destino cosmico siamo come condannati a percepire la realtà a noi esterna attraverso il filtro delle dipendenze: da oggetti, da pulsioni, da desideri e da paure. Di fatto, siamo tutti, chi più chi meno, ormai resi impermeabili a un rapporto “naturale” con il mondo, incapaci di percepirne l’intima bellezza, le sfumature molteplici, le variegate modulazioni, quelle che ad esempio permettono a un indigeno dell’Amazzonia ma anche (forse ancora per poco) a un pastore dei Nebrodi di gettare, attraverso l’atto percettivo del silenzio e dell’attenzione, cauti scandagli conoscitivi sulla natura, sugli animali e sugli uomini che lo circondano.
Siamo dunque diventati sordi e indifferenti rispetto alle dimensioni gratuite dell’esistenza e, ciò che è peggio, non siamo disposti, non lo siamo più, a conferire loro un qualche valore, forse perché per acquistare udito e cuore atti a percepirne l’essenza occorrerebbe esser pronti a sottoporsi a un duro regime, essendo condizione essenziale alla percezione di ciò che è silente la capacità – e la volontà – di porre in discussione la propria loquacità, il proprio fatuo chiacchiericcio, i propri rumori.
Abbiamo certamente abbracciato, nella prassi quotidiana ma anche nel più vasto ambito delle nostre weltanschauung, ciò che Freud aveva teorizzato nel suo Al di là del principio del piacere, ovvero l’esistenza negli uomini di un radicato istinto di morte (Todestrieb), una pulsione negativa che ci spinge ai conflitti e all’autodistruzione.
Se ci riflettiamo, parrebbe proprio che a tale pulsione siano da ricondurre gran parte degli atteggiamenti che costellano la nostra esistenza quotidiana, fatta di dipendenze che, oltre a renderci schiavi, ci fanno anche infelici, tristi, chiusi agli altri, sostanzialmente incapaci di costruire “insieme”.
Nel nostro strano pianeta, in cui è difficile oggi concepire esistenza che non sia dipendente da una molteplicità di fattori (sesso, droghe, denaro, potere, case, automobili, gratificazioni di vario genere) esistono – a ben vedere – due principali categorie di umani. La prima è fatta da tutti quelli che pensano alla vita, alla natura, agli stessi propri simili come a dei “doni” (o a risorse, o a opportunità) da Qualcuno elargiti perché si possa riuscire, tutti insieme e in qualche modo concordi, a sortire qualcosa di decente in questo pezzetto di mondo e di storia che si è chiamati ad abitare e vivere. La seconda è viceversa affollata di individui che, in seguito a chissà quali oscuri traumi infantili, si sono fatti persuasi che il pianeta terra sia una sorta di supermarket dove chi ha denaro e potere sufficienti possa acquistare qualunque cosa o persona; possa comprare armi organi o ragazzine da stuprare, decidere dei destini di interi popoli, condizionare le volontà, plasmare i modelli di comportamento, modificare i sistemi di valori, creare i sogni e i desideri, dare infine, a capriccio, la vita e la morte. Nella prima categoria (che, evangelicamente, si potrebbe definire quella dei poveri di spirito) si inserirebbe senz’altro, tanto per fare un esempio, Gino Strada, il medico che cura i feriti e mutilati di guerra senza chiedersi a quale esercito essi appartengano. Nella seconda …… beh, nella seconda c’è un tale affollamento che vengono in mente l’immagine apocalittica del giudizio finale o quella evangelica dei demoni che affollano i corpi degli ossessi come legione.
Parlando di dipendenze, si pensa solitamente a quelle relative alle sostanze stupefacenti; esiste però un altro gruppo – estremamente ampio e variegato – di dipendenze non riconducibili all’uso di droghe. In questi ultimi anni sempre più spesso è emerso il problema di nuove dimensioni della dipendenza, di quelle cioè che vengono definite nel mondo anglosassone le “new addictions“. Si tratta – come ognuno potrà osservare direttamente dalla vita quotidiana – di comportamenti non sottoposti a censure di tipo giuridico, e anzi in genere socialmente accettati o tollerati: le dipendenze dal gioco d’azzardo, da internet, dallo shopping, dal lavoro compulsivo, dal sesso e dalle relazioni affettive scomposte; realtà tutte queste che, ricercate o esercitate in modo ossessivo, irrelato, privo di aperture verso valori da condividere e anzi compulsate in maniera solitaria e “avara” (nel senso che Don Milani attribuiva a tale termine), anziché svolgere un ruolo sociale, comunitario, finiscono con l’isolare l’individuo rendendolo schiavo. Non è detto peraltro che gli effetti derivanti da tali dipendenze siano meno devastanti di quelli che provengono dal consumo delle droghe.
Anche i social sono diventati un campo privilegiato al cui interno poter dare stura alle nostre dipendenze. Non si contano ormai gli esempi di turpe ferocia, di disinvolto cinismo, di razzismo, di spregio totale di tutto quanto concorra a fare di un animale a due zampe un uomo, dotato di decoro e dignità verso sé e verso i propri simili. Oltre che le donne, anche gentilezza e tenerezza vengono oggi quotidianamente stuprate.
La recente venuta del Dalai Lama a Messina costituisce un esempio pregnante dello “scontento” che ha indotto buona parte della comunità locale, artatamente indirizzata verso tristi ideologie, a scagliarsi con astio e livore contro un uomo e una presenza che in ogni altra parte del mondo (con l’eccezione di poche cupe dittature) avrebbero suscitato sentimenti di entusiasmo e di orgoglio.
Ancora una volta la “messinesità”, questo assai provinciale sentimento di sé, ha avuto la meglio…..
Cosa ci rende dipendenti, quali sono le nostre zavorre? E perché tali dipendenze, piuttosto che stimolare un superamento delle nostre gabbie mentali, ci rendono “scontenti”, tristi, aggressivi, sostanzialmente incapaci di apprezzare la nostra esistenza, i nostri simili, il mondo in cui viviamo?
Ah, my friends from the prison
they ask unto me,
“How good, how good does it feel
to be free?”
And I answer them most
mysteriously
“Are birds free from the chains
of the skyway?”.
Se gli uccelli non sono liberi dalle catene del cielo (come cantava il sublime Bob Dylan), immaginiamoci quanta libertà possa albergare in chi ripone le proprie speranze nella renziana elargizione di ottanta euri!
Forse è il caso che i politici che oggi si affannano a proporci le immagini di una Sicilia migliore comincino fin d’ora ad interrogarsi su ciò. Il privato dopo tutto è politico, non lo abbiamo ancora imparato?
Quando una coscienza si esprime le altre,coscienze,assorbono ed amplificano la verità.Grazie
beato lei che ha tutto questo tempo da perdere!