Qui per volere del Comune
l’ala dell’oblio non graverà’ sulle ceneri
di LETTERIA MONTORO
che l’anima forte ed eletta
trasfuse in versi soavi ed in prose eleganti
donna di spiriti liberali
confortò i fratelli che combattevano
per la redenzione d’Italia
li seguì nell’esilio
e ad essi tornati in Patria
sacrificò cristianamente la vita
mirabile esempio di fraterno affetto!
19 aprile 1825 – 10 agosto 1893

 

La ventesima puntata del consueto appuntamento con i grandi personaggi che hanno attraversato e segnato la nostra città senza trovare una doverosa ubicazione toponomastica, è dedicata stavolta ad una figlia di Messina, come il nome stesso di Letteria tradisce.

Una donna “di spiriti liberali”, che qui è nata, ha vissuto tutta la sua vita (all’infuori di un periodo di esilio legato alla sua passione politica) e ha infine, trovato riposo nel Gran Camposanto.  Letteria Montoro è stata una scrittrice romantica, poetessa di manifesta ispirazione leopardiana e rara sensibilità, che nello scenario letterario di metà ‘800, fra i moti insurrezionali e la costituzione del nascente Regno d’Italia, ebbe eco e riconoscimento in tutta Italia. Sebbene i dati biografici che ci permettono di ricostruirne l’attività siano frammentari, l’intensa produzione letteraria e l’adesione politica ai moti antiborbonici del 1848, che da Palermo si estesero in poco tempo in tutta la Sicilia, restituiscono il profilo di un’intellettuale insolita, idealista e coraggiosa.

Letteria nacque il 19 aprile del 1825: non ne conosciamo l’estrazione sociale e l’ambiente familiare, ma la carriera sacerdotale del fratello, Francesco Montoro, che divenne negli anni a venire direttore del Collegio Peloritano e del liceo ginnasio Maurolico, suggeriscono facile accesso a un’istruzione elevata, condizione all’epoca assai privilegiata. Dalla prefazione che Letteria stessa scrisse per il suo unico romanzo edito, Maria Landini, è possibile collocare politicamente la figura del padre come un “fuoriuscito”, il che fornisce una chiave di lettura indispensabile per comprendere egualmente le scelte letterarie e di vita che compierà in seguito. Come anticipato, infatti, i moti del 1848, primi in Europa, scoppiarono il 12 gennaio a Palermo e si diffusero già alla fine del mese a Messina e Catania: la nostra concittadina si schierò dalla parte dei rivoltosi e ne divenne vivace sostenitrice collaborando al settimanale L’aquila siciliana.

La storia irredentista era soltanto ai suoi inizi ma la dura repressione costrinse la Montoro all’esilio in circostanze poco chiare, che l’epitaffio in sua memoria descrive come scelta etica a fianco dei “fratelli che combattevano per la redenzione d’Italia” e verso i quali non mancò mai di elargire generosa prodigalità e pragmatismo. Una volta tornata a Messina, dal 1850 in poi, la sua attività letteraria riprese con rinnovato slancio portando proprio in quell’anno alla pubblicazione di Maria Landini. Si tratta indubbiamente di un romanzo popolare, nel quale molti ed evidenti sono gli elementi di derivazione manzoniana e come nei più celebri Promessi sposi le vicende personali dei personaggi, i loro vorticosi intrighi e scontri, permettono all’autrice di indagare l’aspetto sociale dell’epoca, la complessità dei rapporti fra classi differenti, in una terra ancora ancorata a dinamiche feudali e signoraggio.

Essere scrittrice e siciliana sembrava non costituire una sfida abbastanza ardua per la Montoro che, scegliendo il romanzo, diede ulteriore prova di audacia: non si compiacque, infatti, della sola poesia che già le garantiva un più accessibile riconoscimento mondano e ricercò nella prosa il contatto concreto con la condizione umana dei suoi simili, intestandosi il difficile compito di veicolarne le voci e costruire una pluralità di prospettive e visioni. La protagonista, Maria, ribalta il ruolo passivo e succube della popolana buona e devota, costretta a una costante santificata abnegazione, né si fa ingentilire dalle lusinghe borghesi di un allettante matrimonio; anzi, lo rifugge e svela la pochezza del suo nobile pretendente, il barone Summacola. Abbandona la famiglia d’origine, si allea con quella di Roberto Altieri che era stata vessata dallo stesso barone e lottando insieme, si sottrae alla sorte predestinata di “ferale olocausto”.

Seppure di fronte a un lessico semplice ed espedienti narrativi già adoperati nei classici feuilleton dell’epoca, la portata innovativa di una protagonista donna, immaginata e scritta da una donna, che si pensa e declina come soggetto, forte ed assertiva, risulta ancora oggi dirompente. Molti studiosi soltanto negli ultimi anni, al netto della scarsità delle fonti biografiche e la difficoltà di reperire gli scritti non editati, hanno ripreso con maggiore enfasi la ricerca riguardante la sua opera, interrogandosi proprio sul modo del tutto originale in cui una scrittrice siciliana dell’ottocento sia riuscita dalla marginalità della sua collocazione storico-geografica a problematizzare e porre intrinsecamente, senza censure e con immediatezza, il disagio sociale e la questione femminile.

L’interessamento recente di una parte del mondo accademico per questa sua inusuale narrazione non deve tuttavia trarre in inganno circa la popolarità di cui godeva ancora in vita. Dopo Maria Landini, Letteria continuò infatti, a coltivare la scrittura alternandola spontaneamente alle incombenze più umili e comuni della vita familiare. In seguito all’Unità d’Italia i suoi scritti comparvero sul periodico di Genova e collaborò alla Strenna femminile dell’Associazione filantropica delle Dame Italiane (1861), nonché alla raccolta Poesie di illustri italiani contemporanei (1865), alla Strenna veneziana (1866) e al volume Candia, pubblicato a cura del Comitato Italo-Ellenico di Messina (1868).


Nel 1865 fu anche l’unica poetessa siciliana chiamata a commemorare il centenario di Dante
con la stesura di un componimento dedicato, dove si ritrovano fieri e caratterizzanti i tratti romantici del Sommo Poeta quale prefiguratore dell’Unità d’Italia. A suggello di anni di impegno politico e civile in versi e prosa, nel 1868 Giovanni Pitrè, accanto alla palermitana Concettina Ramondetta-Fileti e la netina Mariannina Coffa-Caruso, annoverava Letteria Montoro fra le scrittrici che “rappresentano ora la sicula letteratura femminile”.

Ma allora perché Messina sembra non averne memoria e la fama di Letteria Montoro è attualmente circoscritta agli addetti ai lavori? Forse la risposta è più banale di quel che sembra e risiede nella distruzione durante il terremoto del 1908 della lapide commemorativa, citata ad inizio articolo, con cui la cittadinanza la celebrava all’interno della Galleria Monumentale del Gran camposanto. Il Novecento della ricostruzione di Messina inavvertitamente ne confermò l’oblio, indicandoci nuovamente quanto sia fragile il legame con un passato comunitario, spesso creduto monolitico e sempre accessibile, soprattutto se in fondo poco remoto come quello di Letteria Montoro.

FiGi

 

Per approfondire: – Daniela Bombara, Al margine dei margini: ribellione, esperienza del dolore e denuncia sociale in Letteria Montoro, donna siciliana e scrittrice del romanticismo. (Revista Internacional de Literaturas y Culturas, abril 2017) – Enciclopedia delle Donne http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/letteria-montoro/ – G. Attard, Reprint Opuscoli 1, Messinesi insigni del sec. XIX sepolti al Gran Camposanto (Epigrafi, Schizzi Biografici), 1926
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