Spesso definito “l’ultimo uomo universale”, poeta, drammaturgo, scienziato, filosofo, teologo, pittore e musicista, Johann Wolfgang Goethe non può essere descritto con poche parole. Come Shakespeare per l’Inghilterra (di cui abbiamo già parlato qui) e Cervantes per la Spagna (e qui), Goethe è a buon diritto annoverato tra i padri della cultura germanica moderna, tanto che a lui sono dedicati gli istituti internazionali di lingua tedesca.

Ma il più grande debito che la nostra terra ha nei suoi confronti è senza dubbio riposto in un viaggio. Nel 1787, infatti, Goethe spinge il suo viaggio per il Bel Paese, fino alla Sicilia, dove si tratterrà per un mese e mezzo, dal 2 aprile al 15 maggio. In questo modo apre di fatto la strada a tantissimi emuli (abbiamo visto, in altre puntate, i racconti di viaggio di Alexandre Dumas e di Hans Christian Andersen) che, con il viaggio di formazione alla ricerca delle radici classiche della cultura europea, il famoso Grand Tour, normalmente arrestavano il loro itinerario all’altezza di Napoli. Goethe fa invece da apripista a generazioni di viaggiatori che esploreranno le bellezze della nostra terra, spesso ancora ignote e abbandonate da parte degli stessi isolani che la abitavano, favorendo una riscoperta del nostro passato e, dove possibile, un recupero e una salvaguardia dei beni più in pericolo.


A Messina, Goethe arriva la sera del 10 maggio come sua ultima tappa isolana, prima di imbarcarsi dal nostro porto per ripartire verso Napoli. Arriverà di sera, dopo aver percorso a cavallo il tratto costiero da Taormina alla città dello Stretto, in cerca di rocce e minerali. Subito ha la sorpresa nel non riuscir a trovare un albergo dove passare la notte. Goethe e i suoi compagni di viaggio saranno costretti ad a accontentarsi della locanda del cavallaro. Il motivo è presto detto. La città è uno spettrale cumulo di macerie. Son trascorsi pochi anni dal tremendo terremoto del 1783 e ancora la ricostruzione langue. Cosi Goethe appunta nel suo diario:

Dopo l’immane catastrofe che colpiva Messina e uccideva dodicimila abitanti, non era rimasto un tetto per trentamila superstiti; la maggior parte delle case era crollata; quelle che erano rimaste in piedi non offrivano, per le mura tutte lesionate, alcun rifugio sicuro; si pensò allora a costruire in fretta e in furia a nord della città, in una estesa pianura, una città di baracche , della quale potrebbe farsi un’idea chi, nella stagione della fiera, percorra il Römerberg a Francoforte o la piazza grande di Lipsia; dove tutte le botteghe e i negozi danno sulla strada, e buona parte del lavoro si fa all’aperto. […] In tali condizioni si vive a Messina già da tre anni. Una simile vita di baracca, di capanna e perfino di tenda influisce decisamente sul carattere degli abitanti. L’orrore riportato dal disastro immane e la paura che possa ripetersi li spingono a godere con spensierata allegria i piaceri del momento.”

Messina: le rovine del Palazzo Reale (Fonte: Atlante iconografico allegato alla “Istoria” di M. Sarconi, 1784).

Grande tristezza emerge dalle pagine del poeta che osserva la magnificenza decaduta della grande Palazzata.

Nulla di più tetro che lo spettacolo della cosiddetta Palazzata, una serie di grandi palazzi a falce di luna, che incorniciano la spiaggia per il tratto di un quarto d’ora. Erano tutti edifici a quattro piani e costruiti in pietra; di questi, alcune facciate sono rimaste ancora in piedi fino al sommo della cornice, altre son crollate fino al terzo piano, al secondo, al primo; in modo che tutta questa schiera di palazzi, un tempo così superbi, adesso si presenza allo sguardo orribilmente frastagliata e bucherellata, poiché l’azzurro del cielo si vede attraverso quasi tutte le finestre. Nell’interno le abitazioni propriamente dette sono tutte sfasciate.

La ragione di questo fenomeno singolare è che, per seguire l’esempio del brillante piano architettonico tracciato dai proprietari più ricchi, i vicini meno facoltosi in un’apparente gara di sfarzo, avevano mascherato, dietro alle facciate nuove costruite in pietra viva, le loro vecchie case murate con ciottoli grandi e piccoli tenuti insieme con molta calce.”

Ma la visita di Goethe non si ferma solo alla visita di monumenti e bellezze naturali, chiede invece di essere accompagnato nei nuovi quartieri e di visitare l’interno delle baracche, dove la gente ormai viveva da qualche anno (e che mai più avranno abbandonato la città fino ad oggi).

Invitato dal governatore della città per il pranzo, si svolge una curiosa scena che sembra smentire i luoghi comuni sulla puntualità teutonica e la rilassatezza siciliana. Goethe si presenta in ritardo, avendo tergiversato ad accettare l’invito ed essendosi reso tardivamente conto della leggerezza con cui aveva cercato di scansare un così prestigioso ospite. Arrivato alla tavola imbandita adduce mille scuse, dalla confusione sul diverso uso nel conteggio delle ore, alla grandezza della città, allo strapazzo del viaggio. Le scuse non vengono credute, il governatore è furioso e a tavola, tra i 40 convitati, non si sente volare una mosca. Cercando di rabbonirlo, il tedesco, lo adula per la sua capacità di tenere impeccabilmente una città da così poco tempo gravata dalla calamità naturale. Ed invero la città è pulitissima, le strade sono sgombre e le macerie sono ordinatamente accatastate nel perimetro degli edifici crollati, senza arrecare disagi alla circolazione. Addolcitosi, il governatore accompagna Goethe a visitare uno degli edifici più prestigiosi della città: si tratta della chiesa di San Nicolò dei Gentiluomini, annessa al Collegio dei Gesuiti, sede dell’Università messinese, nonché prima Università gesuitica al mondo. L’edificio secentesco, opera di Natale Masuccio, sorgeva, lungo la Via Maestra dell’antico impianto urbano normanno-svevo, corrispondente all’area attualmente occupata dal Palazzo della Provincia Regionale su corso Cavour. Quasi perfettamente sopravvissuto al sisma del 1783, dovette però soccombere prima ai pesanti danni del 1908 e, una volta ricostruito in stile arabo-normanno più a sud, presso Piazza Cairoli, alla mannaia di una delle pagine più oscure del recente passato messinese: la demolizione del 1975, per far posto alla Standa (oggi Oviesse). Di tutto l’edificio secentesco, solo il portale originale sopravvive ancora oggi, ricoverato al Museo Regionale, dov’è osservabile, nel cortile esterno.

Tornando a Goethe e alla sua visita della chiesa di San Nicolò dei Gentiluomini, vivissima è l’impressione suscitata, nella sua anima di scienziato e geologo, dall’uso sapiente delle rocce siciliane, in particolare di rari calcari azzurri che ricordavano il lapislazzulo, per la realizzazione di colonne, pilastri e altari. Il giorno seguente, era il 14 maggio, Goethe salperà dal porto, e a bordo di una corvetta napoletana annoterà le ultime impressioni:

Prendendo a poco a poco il largo, rimanemmo assorti nella vista magnifica della Palazzata, della cittadella e dei monti che sorgevano alle spalle della città. […] L’occhio poté correre liberamente lungo lo Stretto, a nord e sud, per l’ampia striscia di mare fiancheggiata da rive stupende. Dopo aver pagato il nostro tributo d’ammirazione a tutte queste bellezze, ci si fece notare a sinistra, un po’ lontano, un certo subbuglio nell’acqua, e a destra, un po’ più vicino, uno scoglio che spiccava netto sulla spiaggia: quello era Cariddi, questo Scilla. […] Immaginazione e realtà stanno tra loro come la poesia e la prosa.”

Amaro e poetico, gravato da un pesante mal di mare, sarà il suo l’ultimo pensiero:

Tutto sommato non avevamo veduto altro che i vani sforzi degli uomini per resistere contro le violenze della natura, contro la perfidia maligna del tempo, contro il furore delle loro stesse discordie ed ostilità […] per rovesciare i templi di Girgenti non sono bastati due millenni; sono bastate poche ore, per non dire pochi istanti, per distruggere Catania e Messina. Tali le riflessioni, veramente afflitte dal mal di mare, d’un pover’uomo sballottato tra i flutti della vita; alle quali però non ho lasciato prendere il sopravvento.”

A Goethe sono dedicati monumenti, vie e targhe davvero in tutto il mondo. Anche la Sicilia non è da meno, basti pensare alla via Goethe di Palermo e alla targa commemorativa che ricorda a Catania il luogo del suo soggiorno.

Solo Messina sembra essersi dimenticata di lui.

FiGi

Per approfondire:
J. W. Goethe, Viaggio in Sicilia, edizioni Edi.bi.si.
Sulla storia del Collegio dei Gesuiti https://www.letteraemme.it/messina-42-anni-lo-scempio-dei-gesuiti-piazza-cairoli/

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