Pur non appartenendo alla grande schiera di letterati che, in particolare tra ‘700 e ‘800, hanno raccontato Messina e la Sicilia nei diari di viaggi del cosiddetto Grand Tour,  tappa di formazione culturale quasi obbligata per tanti tedeschi, inglesi e francesi (qui abbiamo raccontato il viaggio di Dumas) alla riscoperta delle radici leggendarie e mitiche della cultura europea (complice anche una Grecia inaccessibile a causa dell’occupazione ottomana), lo scrittore, poeta e filosofo Friederich Schiller ha contribuito in maniera importante a rendere celebre la nostra città nel mondo.

Sono due le opere di Schiller che riguardano da vicino la nostra città: la prima concerne la sua attività di poeta, la seconda quella di drammaturgo. Circa dieci anni dopo aver composto l’Inno alla gioia che, musicato da Beethoven, costituisce oggi l’inno ufficiale dell’Unione Europea, Schiller scriverà una ballata, Il tuffatore (Der Taucher), attingendo alla tradizione leggendaria di quello che è probabilmente il più importante personaggio fiabesco messinese, Colapesce. Se Colapesce è giustamente ricordato da una via in città (una perpendicolare compresa tra il Viale Giostra e il Torrente Trapani) molti tra gli illustri scrittori che hanno contribuito ad arricchire e tramandarne il mito, sono invece colpevolmente dimenticati in città. Tra questi, per citarne alcuni, meriterebbero certamente un posto d’onore Miguel de Cervantes (di cui abbiamo già raccontato la storia messinese), Italo Calvino, Giuseppe Pitrè, Ignazio Buttitta, Jorge Luis Borges, Benedetto Croce e appunto Friedrich Schiller.

Come Schiller abbia incontrato il personaggio mediterraneo di Colapesce non è noto, tuttavia quel che è certo è che il mito aveva da tempo valicato i confini regionali, per diventare una storia dall’eco internazionale già a partire dal 12° secolo quando venne raccontata da un trovatore francese. Schiller la rivisita per svuotarla dai contenuti più strettamente morali (facendo per questo indispettire Croce), concentrandosi di più sulla potenza della poesia, pervasa dai motivi della natura e dell’erotismo, del coraggio intrepido e dell’umana paura nei confronti dell’abisso, che Colapesce così affronta:

“A guardar la voragine ei si piega,
salito sul pendio dell’erta balza;
vede egli l’acqua che in giù si ripiega
e che Cariddi mormorando innalza.
Che poi, qual rombo di tuono distante,
nell’abisso precipita spumante.

E bolle e freme e sibilando grida,
come l’acqua se al fuoco si disposa;
il vaporoso flutto il cielo disfida,
un’onda altr’onda incalza, senza posa,
e l’acque abbondan sempre, sicché pare
che un mar crear volesse un altro mare.”

 

Pochi anni dopo Friederich Schiller si confronterà nuovamente con le rive dello Stretto. Capolavoro indiscusso della sua produzione drammaturgica è La sposa di Messina (Die Braut von Messina), scritto nel 1803. La tragedia è un pezzo di squisita ispirazione greco-classica e pertanto, Schiller sceglie di darne un’ambientazione che potesse permettergli di spaziare tra una società moderna, con il pesante condizionamento della cultura cristiana, e un’atmosfera pagana e quasi fiabesca. Messina è lo scenario perfetto. Dove, il disordine della natura, si manifesta pienamente «nella meravigliosa lotta tra la fertilità e la distruzione nelle campagne siciliane», come lui stesso scrisse.

La trama è un’ingarbugliata vicenda in cui tre fratelli, ignari di esserlo, una femmina e due maschi, figli del re di Messina, obbedendo inconsciamente alla sorte dettata da un sogno premonitore, esercitano un amore inconsapevolmente incestuoso e un fratricidio dettato dalla gelosia.

Lo scenario paesaggistico è solo leggermente tratteggiato, le campagne luogo di caccia, la nevosa Etna e la costa battuta dalle onde:

“sento vicino il fremito
della città frequente;
odo lontano il sonito dell’onda
che batte orribilmente
la messinese sponda,
e l’angoscia m’accresce e lo spavento.”

Il coro, spettatore delle orribili disgrazie, come nella classica tradizione della tragedia greca, sembra premonire future grandi sventure:

“Oh sciagurata,
sciagurata Messina! Un gran misfatto
nel tuo grembo seguì! Misere madri!
Miseri figli! Miseri germogli
Non per anco maturi!”

La sposa di Messina ebbe immensa fortuna, venne musicata da Robert Schumann (inutile dire che neanche lui è ricordato nella toponomastica cittadina) e ripresa da Nietzsche, che ne curerà una prefazione, indicandola a modello dell’idea di naturale ingenuità del mondo greco, idea poi perfezionata, secondo il filosofo tedesco, dal progetto poetico e musicale di Wagner. Della storia messinese di Nietzsche e Wagner ne abbiamo raccontato qui.

Messina, che negli insondabili abissi cela mostri marini e vacillanti piedistalli, dovrebbe trovare uno spazio per ricordare il cantore che si arrese al compito impossibile assegnato al suo Colapesce:

“Ciò che racchiude in seno il mar fremente
raccontare nol puote alma vivente.”

FiGi

 

Per approfondire:
Giovanna Pinna, Introduzione a Schiller, 2012, Gius. Laterza & Figli
Sul tema Colapesce, il sito colapisci.it e la pagina http://www.colapisci.it/Cola-Raccontano/Narratori/dertaucher.htm
Giuseppe Pitrè, Cola Pesce e altre fiabe e leggende popolari siciliane. Edizione integrale tradotta dal siciliano e curata da Bianca Lazzaro. Illustrazioni di Fabian Negrin, 2016, ed. Donzelli
Sull’opera di Schumann la guida all’ascolto dell’Ouvertüre in do minore, op. 100, al link https://www.flaminioonline.it/Guide/Schumann/Schumann-Messina100.html
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