Scrittore di primario rilievo nel panorama europeo e mondiale di tutti i tempi, del quale due giorni fa ricorreva l’anniversario della morte (avvenuta 405 anni fa), Miguel De Cervantes è l’autore del celebre Don Chisciotte della Mancia, che con oltre 500 milioni di copie vendute è il romanzo più venduto di sempre e che, secondo una accreditata teoria, avrebbe visto, proprio a Messina, nascerne le basi.
Quel che è sicuro è che Miguel de Cervantes ha vissuto nella nostra città in almeno due diversi momenti.
Il primo fu in occasione dell’ingresso in città di Don Giovanni d’Austria. Erano entrambi ventiquattrenni quando si incontrarono, nell’agosto del 1571, in occasione del concentramento delle forze navali cristiane, in partenza per Lepanto. L’ingresso di Don Giovanni fu trionfale e Cervantes ne fu coinvolto testimone.
“Rimpatriato” (nel ‘500 il Regno di Sicilia apparteneva all’impero asburgico spagnolo) dalla vittoriosa battaglia di Lepanto, Cervantes verrà ricoverato presso l’Ospedale civico di Messina per alcune ferite gravi rimediate in battaglia, tra cui una, alla mano sinistra, che lo lascerà per sempre storpio. In ospedale, un pregevole edificio di Andrea Calamech e Antonio Ferramolino (ricordati rispettivamente da due piccole vie alle spalle del Boccetta e a Montepiselli, ai piedi del “suo” Forte Gonzaga) collocato in piazza Santa Croce (alle spalle dell’odierno Tribunale), in una topografia urbana che ormai non esiste più, cancellata dal terremoto del 1908 e dalla furiosa ricostruzione, Cervantes risiederà per circa 6 mesi, da ottobre ad aprile, passando il suo tempo contemplando la varia umanità che gli si presentava innanzi.
Lo scrittore e biografo catalano Sebastià Arbò (1946), senza porsi molti dubbi, non solo attribuisce al periodo messinese la nascita, quantomeno dell’idea, del capolavoro di Cervantes, ma suggerisce anche alcune scene in cui l’autore si sarebbe lasciato ispirare dal paesaggio dello Stretto.
Racconta egli stesso: “Per mesi Miguel de Cervantes fu confinato in un letto di ospedale a Messina, aspettando la guarigione delle ferite. Per molti giorni non aveva altro da fare che sedere alla finestra e aspettare il momento in cui avrebbe potuto fare le prime passeggiate, con la buona stagione. Desiderava ardentemente la pace della campagna siciliana per fargli dimenticare l’incubo della violenza che si celava dietro di lui. […] La sua immaginazione univa i ricordi di questi giorni felici in Sicilia con le impressioni della campagna andalusa, e da qui creava la scena del suo Don Chisciotte in cui il cavaliere, dopo aver condiviso un pasto scarso con i grezzi e primitivi caprai, parla loro dell’Età d’Oro dell’umanità.”
E ancora l’altra celebre scena di Don Chisciotte veggente, che confonde una triste locanda con un castello incantato, profetizzando vita eterna a poveri e oppressi, secondo lo stesso Arbò, sarebbe nate nelle fantasie messinesi di Cervantes.
Cervantes cita la città di Messina, attraverso il racconto di uno schiavo, nel XXXIX° capitolo del Don Chisciotte. Di passaggio dallo Stretto, per unirsi alla flotta di Don Giovanni d’Austria, lo schiavo però non ne farà ritorno, rimasto prigioniero di Uccialì (il corsaro dai natali calabresi convertitosi all’Islam), unico comandante dello schieramento ottomano a sopravvivere allo scontro di Lepanto. Un destino diverso da quello di Cervantes, ma in cui egli stesso sembra trasporre le proprie angosce di uomo la cui carriera militare si era bruscamente interrotta, in un momento decisivo per la storia europea.
Don Giovanni è oggi ricordato da una pregevole statua bronzea, opera di Andrea Calamech, ubicata nel largo retrostante la chiesa dei Catalani, allo sbocco di Via Lepanto (statua che, nella movida notturna messinese, è spesso indicata affettuosamente come “Giuvanni ‘ca chitarra” o “Jimiendrics ”, per la bizzarra ombra proiettata sui palazzi retrostanti).
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