Annacare

 

“Annacare” è una parola molto antica che deriva da un termine portato in riva allo Stretto dai mercenari tedeschi giunti a Messina al seguito di Carlo V.  Siamo nel 1535 e per portarsi appresso i figli, i soldati erano soliti utilizzare una specie di rustica culla trascinata con una cinghia pettorale dalle loro mogli, che marciavano a piedi accanto ai mariti beatamente spaparanzati sui loro destrieri (non proprio dei “cavalieri”). Un veicolo a quattro ruote che si chiamava anhänger (la pronuncia è annaga, con la g dura) e che stava a indicare il rimorchio. Il termine vernacolare nasce proprio da lì, dal dondolamento ritmico di quella sorta di sidecar ante litteram da cui deriva anche il lessema “naca”, ovvero la culla.

Ma, come è noto, l’aspetto letterale a noi messinesi non basta. È la parte figurata quella in cui riusciamo a dare il meglio, declinando allegoricamente  i termini più disparati in infinite varianti. “Càdiri da’ naca”, ad esempio, vuol dire essere smarrito, non sapere come comportarsi, ma anche fare il finto tonto, u sceccu ‘nto linzolu.  Diverso, e più pruriginoso, è invece il verbo “nnachimmilla”: lo traduciamo semplicemente con “dondolamela“, senza complemento oggetto. E non fate finta di non aver capito.

 

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