Attrova

 

Qua siamo nell’esistenzialismo più autentico, fra Jean Paul Sartre e l’ultimo Ionesco. Di primo acchito lo si potrebbe tradurre con “chissà”, ma si farebbe torto a un lessema molto più immaginifico e complesso, che ha anticipato di decenni le odierne teorie del complotto, le scie chimiche e l’invasione dei rettiliani. Volendo usare una proporzione, potremmo dire che “chissà” sta ad “attrova” come “Let it Be” (Lascia che sia) dei Beatles sta a “Let it Bleed” (Lascia che sanguini) dei Rolling Stones. È la sua versione pessimistico-apocalittica, un punto interrogativo travestito da parola che si struttura attorno a delle lacune, innanzitutto di tipo semantico. 

ll vero protagonista, in questo caso, è il vuoto: un’impasse cognitiva, affine a certi meccanismi del fantastico tipici dei racconti di Cortazar e Buzzati, attorno alla quale il senso prende vita per congetture inferenziali.  Letteralmente significa: “deve essere accaduto qualcosa di rilevante che non ci è dato sapere”, un dubbio amletico che ci attanaglia l’anima e che può essere risolto solo interpretando l’aleatorio e il non-detto: uno sguardo sfuggente, una tensione latente, una particolare inflessione della voce.

Basta pronunciare il termine, con tanto di ‘nnacamento della testa e sguardo furtivo, per catalizzare tutta l’attenzione sull’enunciatario e donare alla circostanza un sano retrogusto di mistero. Non è una parola: è un cortometraggio sull’ignoto.

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