MESSINA. È una storia poetica e quasi “sciamanica” quella dello scultore Fabio Pilato, ex commerciante messinese che ha deciso di dedicare la sua vita all’arte. All’insegna del ferro, dei pesci e delle acque dello Stretto. Un’esperienza di vita simbolica e colma di bellezza che verrà raccontata in un film documentario realizzato da cineasti e professionisti della città, grazie a un’idea del musicista Tony Canto, del manager e produttore Arturo Morano e dei registi Christian Bisceglia e Francesco Cannavà, che hanno coinvolto nel loro progetto una “crew” tutta messinese (fra cui Enrico Bellinghieri e Amitt Kelvin Darimdur).

 

 

Il momento epifanico che ha stravolto la vita dell’artista risale a circa 15 anni fa, quando, stremato da una lunga malattia e dalle cure (i medici gli avevano dato pochi mesi di vita), decise di trascorrere una delle sue tante notti insonni in barca, lasciandosi cullare dalle onde. Un’esperienza che ha rivoluzionato per sempre il corso della sua esistenza e gli ha permesso di comprendere il suo posto nel mondo: il suo essere un ingranaggio della Natura, una creatura del mare e del pianeta Terra. Proprio come i pesci senza vita che rinvenne all’alba, spiaggiati sulla battigia, ai quali decise di “restituire la vita”, donandogli l’immortalità grazie al ferro e alla scultura, pur non avendo mai forgiato nulla.

Da allora, i pesci scolpiti da Pilato, che nel frattempo ha superato il cancro (con il quale ha dovuto poi fare nuovamente i conti), divenendo un’artista di fama internazionale, sono decine e decine: splendide riproduzioni a grandezza naturale che il loro creatore vorrebbe esporre in un Museo del Mare da realizzare in città, compresa la sua ultima maestosa opera: uno squalo di 5 metri e cinquecento chili di peso, chiamata “Pasqualina”, che ad oggi attrae gli sguardi incuriositi di bagnanti e turisti a Capo Peloro, nell’area del Lanternino (fra i suoi progetti c’è anche una balena, ispirata a Coda mozza, il cetaceo che qualche anno fa solcò le acque dello Stretto).

 

 

«Mentre si trovava in balia delle correnti, Fabio ha scoperto una nuova realtà e ha capito di essere in sintonia con le creature del mondo marino e con la Natura. Fino a quel momento è come se avesse avuto un velo offuscato davanti agli occhi che gli impediva di vedere la grande bellezza intorno a lui», spiega Cannavà, che racconta la genesi del docufilm, concepito più o meno un anno fa, quando il cantautore Tony Canto e il produttore Arturo Morano coinvolsero nel progetto il giovane regista e l’autore di Cruel Peter. «“Il sutra del ferro” – prosegue – è un documentario narrativo e cinematografico incentrato su una guarigione e su un’iniziazione artistica. Il nostro intento è quello di trasmettere lo stesso spirito di libertà e lo stesso amore che unisce Fabio allo Stretto e alla sua arte, lasciandoci guidare dalla sua storia».

«Se a Messina vige la retorica sulla bruttezza o sulla bellezza della città, con discussioni infinite sui social, noi abbiamo avuto la fortuna di lavorare con persone che avevano voglia di fare, invece di parlare e basta. Professionisti messinesi che hanno deciso di mettersi in gioco mettendo le loro capacità al servizio di questa storia», conclude, ribadendo l’importanza di vivere in armonia con il mondo che ci circonda e di cui facciamo parte: «Se non impariamo ad aver rispetto per l’ambiente, continueremo a farci del male».

 

 

«Quella di Fabio è una storia unica, che racconta di un legame primigenio con la Natura», ribadisce Christian Bisceglia, reduce dal successo internazionale del suo horror ambientato in riva allo Stretto, mentre Arturo Morano (anche manager di Nino Frassica) invita tutti coloro che credono nel progetto a sposare la causa, aiutando gli autori a portare a termine nel migliore dei modi il docufilm.

«Ho incontrato Fabio 5 o 6 anni fa, al Palacultura, in occasione di un evento sui migranti e sul dramma delle morti in mare. All’epoca non conoscevo la sua storia, di cui sono venuto a conosceva circa un anno fa – racconta – Ancora non sappiamo quale saranno la forma e la durata definitiva del documentario, e lo stesso vale per la distribuzione: molto dipenderà dal budget a disposizione».

Infine una considerazione sulla “crew”: «A Messina ci sono tantissimi professionisti, in vari settori. Spesso sono ragazzi e ragazze di grande talento che ancora studiano, e che in futuro saranno costretti/e dalle circostanze a lasciare la città. Ma quando c’è il richiamo della propria terra nessuno tuttavia si tira mai indietro».

Il film è prodotto da Arturo Morano e Vincenzo Fazio di Art Show Produzioni e Renata Giuliano di 8 Road Film Srl. A collaborare anche il fotografo Francesco Algeri.

 

 

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