Non sono nato siciliano, ma ritengo di esserlo diventato, perché quelle volte che si parla di me, accanto alla parola regista, segue quasi sempre quella di messinese.

Dico questo perché sono consapevole che, per essere siciliano, devi nascere in Sicilia. Mio padre (lucano) e mia madre (milanese) si trasferirono dall’hinterland di Milano in Sicilia nel 1966. Motivi di lavoro. Mio padre faceva il rappresentante per una grande azienda alimentare del nord. I miei dovevano starci un paio d’anni nella città dello Stretto, ma poi ci restarono tutta la vita, giusto il tempo di un breve ritorno al nord per farmi nascere, perché mia madre potesse avere l’assistenza della sua famiglia.

A casa si parlava in milanese o in lucano e la domenica si mangiavano la polenta o le orecchiette, mentre il mondo là fuori cucinava la “pasta o funnu” o la “gghiotta”. Io avevo assunto un accento surreale che a scuola a mi rendeva una sorta di alieno. E quindi, come ogni alieno, per evitare di essere scoperto (nel mio caso essere additato come “polentone”) restavo in silenzio spiando il luogo e gli abitanti, in attesa di ritornare a un pianeta di origine, il Nord, che in fondo nemmeno conoscevo.

Da bambino mi piaceva andare al porto. Guardare li pescatori con i secchi i plastica e i cefali vivi dentro e Don Santo che portava la pasta fresca che produceva mia madre alle navi straniere che venivano ad ormeggiare. Erano i primi anni settanta e Messina era già una città proiettata nel passato e conviveva tranquillamente con i suoi spettri. Non so come gli altri non se ne rendessero conto, ma io, già da bambino li vedevo, come il bambino del Sesto Senso. E ne ero letteralmente affascinato. Il teatro Vittorio Emanuele chiuso da chissà quanti anni, aveva probabilmente il suo personale Fantasma come l’Opera di Parigi o Manaus. L’Hotel del Lido di Mortelle in rovina e la piscina hollywoodiana abbandonata. Il Real Convitto Dante Alighieri di Viale della Libertà, con le mura esterne ancora ferite dai mortai della seconda guerra mondiale. Il Giardino Corallo infestato da una vegetazione selvaggia e impenetrabile. Decina di meravigliose ville liberty tra Ganzirri e Spartà, infestate da chissà quali spiriti inquieti. La Chiesa di Montalto che sorgeva dal nulla. La casa Incantata del Cavaliere Cammarata. E poi quei racconti terrificanti sul Terremoto degli ultimi sopravvissuti.

Messina poi, esattamente come la città di San Antonio Bay in The Fog, uno dei film horror più famosi di sempre, aveva la sua Nebbia Maledetta: la Lupa. Una coltre che poteva ricoprirla all’improvviso e renderla invisibile al mondo.

Tutta la Messina che ho vissuto da bambino mi parlava di un passato ricco e misterioso, persino favolistico, ma che era sparito per sempre. Una città magica e piena di segreti. E io, come un esploratore dell’ignoto, come “straniero”, avevo il privilegio di poterli cercare.

Come la colonia abbandonata “Principe di Piemonte” su colli San Rizzo. Perché era andata distrutta? Che fine avevano fatto i bambini che la abitavano? C’era rimasto ancora qualcosa della loro memoria? Si poteva trovare un biglietto sotto un mattone che nascondeva chissà quale segreto?

E forse potevo ritrovarlo proprio io. Magari era una mappa che mi avrebbe portato alle inquietanti rovine di Villa Rodriguez, un castello abbandonato nel nulla a Borgo Musolino.

La Messina che sognavo ed esploravo da bambino, adesso non c’è quasi più. Il porto, come quasi tutto il mare, è negato alla città. La splendida collina di Montalto è stata massacrata dai palazzinari, della Casa del Cavaliere Cammarata, è rimasto ben poco.

Messina non ama gli spettri, ma i luoghi spettrali. I serpentoni di cemento, le centinaia di villette sui laghi, i casermoni sulle spiagge. Solo dall’alto e da lontano Messina conserva la sua magia, perché da lontano lo scempio perpetrato dall’uomo non è visibile.

Nel film Cruel Peter la scelta di inquadrare la città dall’alto non è stata esattamente una scelta, ma una necessità. E questo è stato doloroso.

Solo girando il film, e osservando le espressioni perplesse di Ascanio Malgarini, (regista con me di Cruel Peter e con un occhio fotografico più talentuoso del mio), me ne sono davvero reso conto. Messina ha tante cose meravigliose, ma nessuna oggi è veramente valorizzata. A cominciare dal suo Stretto.

La sua bellezza però non verrà riscoperta inquadrandola dall’alto con un drone, né stando sempre lì, a rimpiangere il passato. La Rassegna Cinematografica all’Irrera a Mare, la Libreria Ospe, i Lidi avanguardistici di Mortelle negli anni 50.

Non bisogna confondere la Memoria con gli Spettri. La Memoria rappresenta un valore assoluto, gli Spettri invece, come nei film horror, ti perseguitano e ti fanno impazzire.

Credo che Messina abbia bisogno di essere ripensata come città, bisogna ripensare il suo corpo fisico, come fecero negli anni 20 dopo il terremoto. Così, dopo il terremoto della Malapolitica degli ultimi cinquant’anni, va ricostruita e ripensata di nuovo.

Questa città non deve avere più paura di essere guardata da vicino.

(Ps. Della serie ognuno ha i suoi fantasmi e le sue ossessioni: mi piacerebbe che il quarantacinquennale del film “The Fog” fosse ricordato a Messina proprio all’Ex Fiera. Notte d’estate, lo schermo immenso sullo Stretto, il grande John Carpenter che esegue la colonna sonora dal vivo e la Lupa, che, inesorabilmente, scende a consacrare la nascita del più grande Festival Cinema Sci-Fi-Horror d’Europa)

 

 

 

 

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