Buridda (e bistino)

In riva allo Stretto il senso dell’olfatto è particolarmente sviluppato. A causa del mare, del vento perenne o forse del radon. Sta di fatto che alle nostre latitudini abbiamo stabilito di dare un nome a certe tipologie di odori che altrove nessuno si è preso la briga di etichettare. La lingua funziona così: a fronte di un continuum indistinto di cose ed eventi, ogni cultura decide in maniera del tutto arbitraria di attribuire a una certo significante un particolare significato. Un escamotage concepito dall’evoluzione che ci permette di catalogare e di comprendere il mondo. Ne è un esempio la buridda, quell’odore inconfondibile e nauseabondo di uova che solo noi siciliani, e pochi altri, siamo in grado di intercettare (uno dei rari sinonimi è il veneto freschino).

C’è chi lo avverte a malapena, chi non ci fa caso, e chi lo percepisce anche a distanza di giorni, con la stessa sensibilità olfattiva di un cane della narcotici. Ed ecco quindi il mesto spettacolo fatto di porzioni fumanti di carbonara, frittate di patate e omelette con prosciutto servite immancabilmente in piatti e contenitori di plastica (a cui i più scrupolosi danno poi fuoco inondandoli di kerosene).

Discorso analogo per il più controverso bistino. Relativo originariamente a pesci piccoli o di poco valore, viene utilizzato sempre più spesso per designare in maniera indiscriminata la puzza di animale andato a male. Che sia pescestocco, maiale, vitello o capretto. E persino umanità in balia della sorte. 

 

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Giuseppe Carcione
27 Luglio 2017 18:44

Bastasu e babbannacchiu!