Era il novembre del 2022, un anno e mezzo fa, quando iniziavo la stesura di un articolo sul ponte dello Stretto. Nel mentre parlavo con molti miei amici. Stavo a Bologna e molti attivisti non ne sapevano molto. Molti non sapevano neanche che esiste questa proposta di grande opera e l’impatto su un territorio a loro sconosciuto. Non conoscevano né i costi né come avviene attualmente il traghettamento tra la Calabria e la Sicilia. L’idea ancora non era stata concretizzata con il decreto di marzo 2023 che avrebbe dato nuova vita alla Stretto di Messina.  E ogni volta che inviavo una foto del panorama dello Stretto a qualcuno che non lo aveva mai visto, mi ripeteva la solita domanda “Ma quella è la Calabria?”. Ecco, tutto questo accade tutt’ora. Non esiste una vera e propria cognizione da parte di chi vive lontano di cosa sta accedendo tra Villa San Giovanni e Messina e in cosa consiste l’opera. I media nazionali non ne parlano molto e quando ne parlano non riescono a cogliere sia i punti positivi ché i punti negativi. Da quando vivo a Roma, ogni volta che torno da Messina, la battuta dei miei colleghi è sempre la seguente “Ma a che punto siamo con i cantieri?”. Una battuta che si ripete ormai da un anno e che mostra il reale interesse e come l’informazione fuori da Messina è spesso non corretta.

Ma il problema maggiore lo si riusciva a individuare banalmente parlando anche con i messinesi che non conoscono pienamente il progetto e come impatterà sui territori della zona Nord della città. Molti hanno creduto che l’opera si esaurisse con un ponte nel senso più minimo del termine, ossia a due piloni che sorreggono l’impalcato. Un’opera che avrebbe condotto, sì, alla distruzione di qualche villetta nella zona di Faro e forse a qualche terreno. La verità, però, è un’altra e da qualche giorno echeggia nelle discussioni anche di chi prima era fermamente indifferente all’opera perché non era colpito direttamente. “A me non fa caldo né freddo”. La costruzione del Ponte condurrà ad una vera rivisitazione della città nella sua totalità: dal centro d’interesse, al ruolo fondamentale che giocherà la costruzione della tangenziale nord che collegherà l’Annunziata fino all’ingresso del Ponte e che vedrà la costruzione di decine di chilometri di gallerie, fino a giungere al nuovo ruolo che avrà la zona sud di Messina. Ecco. L’argomento di questo blog è proprio il concetto di Sud legato al Ponte sullo Stretto. Se da un lato il Nord del Paese ha provato indifferenza per la grande opera che si costruirà a Messina, anche i messinesi hanno provato una fortissima indifferenza per quello che accadeva nella zona sud di Messina. Tutto questo è accaduto fino a mercoledì 3 aprile quando la società è stato reso pubblico l’elenco degli espropri e ha pubblicato la cantierizzazione delle zone della città. E il secondo cantiere maggiore, dopo quello del Ponte e del viadotto Pantano, è quella tra Pistunina e Minissale.

È bene dire che della zona Sud nel dibattito cittadino se n’è sempre parlato poco. Gli occhi sono sempre puntati alla Riviera Nord, che con le sue serate danzanti e con i suoi cocktail, generebbe l’economia messinese. Inoltre, la zona Nord è anche quella vive un privilegio che dai messinesi non è riconosciuto: l’accesso al mare. Superato il viale Annunziata si può andare in spiaggia anche a farsi bagno fino ad Orto Liuzzo. Messina centro, o meglio, dalla Caronte fino a Tremestieri, l’accesso al mare diventa un miraggio. Tra cantieri navali, industrie, i Porti, ex aree industriali e spiagge deturpate, l’abitante della zona Sud non può godersi ciò che dovrebbe caratterizzare la città dello Stretto. In aggiunta esiste un grande disagio che non viene raccontato: la costruzione del nuovo Porto di Tremestieri. L’opera della città che dovrebbe spostare interamente il traffico dei traghetti da Messina centro alla zona Sud ha bloccato un’intera spiaggia che prima dell’inizio dei cantieri ha visto un ingrandimento notevole della sua spiaggia, anche grazia alla sabbia tolta dal vicino porto.  Sul litorale tra Tremestieri e Mili, nei giorni di scirocco arrivavano i surfisti, o per essere specifici coloro che praticano il kitesurf, che con pulmini e automobili arrivavano da tutta la Sicilia per poter solcare le onde e il forte vento che si insacca in quella zona. Al mattino, invece, la spiaggia di Mili si popolava di pescatori che attendevano grosse prede portate dalle profonde correnti di quel tratto di costa. In estate, poi, la spiaggia si affollava dei residenti della zona.

Sull’impatto dell’opera di Tremestieri pochi hanno alzato la voce e fatto qualcosa. Forse solamente le associazioni della zona Sud come la Proloco Messina Sud e l’Arci Ionio che hanno sollevato qualche dubbio sulle opere compensative connesse alla costruzione del Porto. Ma per la maggior parte della cittadinanza, la costruzione del nuovo porto si pone essere necessaria per eliminare il traffico del centro e della zona Nord e spostarlo sulla zona Sud come se questa fosse territorio di nessuno. Dopo l’avvio dei cantieri, l’unica perplessità che si è sollevata sulla zona Sud è avvenuta in vista della progettazione del deposito di gas previsto dall’Autorità portuale nei pressi di Pistunina. Ma in questo caso si era in piena campagna elettorale e ad ogni candidato faceva comodo annunciare un comunicato sulla questione. Infine, per fortuna, è arrivato il “Comitato Ex Sanderson”, che facendo rete per una finalità comune ha riacceso i riflettori su una delle ex aree industriali più grandi della città. Nel polo dell’Ex Sanderson, in piena campagna elettorale, il governo regionale di Nello Musumeci aveva annunciato la bonifica della zona e la costruzione di un mega centro conferenze che avrebbe sostituito il primato delle Ciminiere di Catania per la Sicilia Orientale. Ovviamente il progetto c’è ma, come nel caso del porto, le decisioni vengono calate dall’alto senza sentire la voce dei cittadini di quella zona che in quel quartiere, in quelle strade ci abitano e all’ex Sanderson ci hanno lavorato. Un quartiere che, sì, necessita di lavoro ma che vuole destinare un altro futuro per quella ex area industriale che è costituita da edifici abbattuti e amianto. Una popolazione, quella della zona Sud, che vuole l’accesso ad un mare pulito e che vuole servizi per il quartiere. Ma sfortunatamente il lavoro da fare per porre l’attenzione dell’intera città su questa causa è ancora lungo e fortunatamente esiste il comitato dell’Ex Sanderson. Poi c’è un altro progetto che grava sul villaggio Unrra e di Pistunina: nella zona vicino al litorale vedrà la realizzazione di zone di stoccaggio delle autovetture e camion verso l’approdo di Tremestieri. Anche in questo caso sono stati sollevati pochi dubbi, se non nessuno.

La verità che personalmente riconosco è una. La zona Nord non si è mai interessata troppo del destino della zona Sud anche per una questione di intrinseco classismo che esiste. Un classismo che ha creato un vero e proprio divario dentro una città creando quindi veri e propri punti di collisione mai annunciati. Vere e proprie fratture invisibili. Banalmente, nella mente di qualsiasi messinese, la zona Sud è legata ad un tessuto cittadino povero e dove non ci sono siti d’interesse. Nella realtà villaggi come Mili San Pietro o il monastero di San Placido Calonerò o villaggi come Tipoldo e Giampilieri raccolgono testimonianze storiche fondamentali per il territorio che ancora noi messinesi tutti facciamo fatica ad apprezzare. Il classismo dei messinesi lo si ha anche a livello geografico sulla conoscenza del territorio: chiedete ad un qualsiasi residente della zona Nord di indicare su una cartina dove sono situati due villaggi o due quartieri della zona Sud. Molto probabilmente l’errore della risposta sarà alto. Tutto questo è una mia generalizzazione che è fondata da anni di frequentazione della “Messina per Bene” e di “Messina Sud”. Poi ci sono dei costrutti sociali che alimentano il classismo. La spiaggia di Santa Margherita sarebbe quella degli zalli perché nella zona Sud ci sono quartieri popolari. C’è il costrutto che gli abitanti della zona Sud siano quelli che scendono il finesettimana a Cairoli per alimentare le famose sciarre. Ma tutto questo si pone essere una generalizzazione che alimenta il pregiudizio e la distanza nei confronti di un territorio e una grossa parte della popolazione della città.

Ora, il progetto del Ponte sullo Stretto e i seguenti avvisi di esproprio devono essere il momento in cui le distanze tra zona Nord e zona Sud possano ridursi. Perché a perdere la casa non sarà solo chi ha la villetta a Margi ma saranno anche i molti che abitano nel quartiere di Contesse e che, probabilmente, non hanno una seconda casa. Il momento che la città sta vivendo e che vede una forte mobilitazione contro gli espropri deve essere quello in cui si riconoscono le esigenze di due territori tanto diversi per la loro storia ma che solamente con la cooperazione, il dialogo e l’unione possono agire contro la questa grande opera (sempre se non la vogliono) vedendo un reale riconoscimento delle esigenze del territorio che oltre alle già blasonate infrastrutture e sanità si basino su opere concrete e dirette anche per un territorio che è da tempo ai margini del dibattito pubblico e che nel mentre vive la speculazione edilizia su cui si baserà lo sviluppo dell’intera città.

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