Maksim Gorkij, alla fine del 1908, si trovava, già da due anni, a Capri.
Sull’isola campana si era infatti rifugiato in esilio volontario, vittima delle persecuzioni zariste, a causa delle proprie idee socialiste e della partecipazione ai moti rivoluzionari del 1905. Negli ultimi anni aveva dovuto subire prima l’espulsione dall’Accademia russa delle scienze (che portò alle dimissioni dell’amico drammaturgo Anton Čechov), poi una detenzione presso la fortezza di Pietro e Paolo a Pietroburgo e infine un confinamento in Crimea. Appena libero di partire, nel 1906, farà un breve tour negli Stati Uniti dove scriverà e pubblicherà, in traduzione inglese, il suo più celebre romanzo, La madre, che gli procurerà fama universale. A seguire, Gorkij eleggerà a propria residenza l’Italia, e in particolare la soleggiata e libera Capri, dove avrà l’opportunità di sviluppare con serenità il suo estro creativo, sempre mettendo al centro delle sue opere la vita degli ultimi, dei vagabondi e degli oppressi.

Quando, la mattina del 28 dicembre 1908, sull’isola di Capri, arrivarono i primi echi di un grande evento sismico che aveva sconvolto la Sicilia orientale e la Calabria, i più stentavano a crederlo possibile. Solo in pochi avevano avvertito una piccola scossa e, ancora, nessuna notizia era stata pubblicata. Solo il giorno dopo, il 29, con una nave da Napoli, arriva una tragica conferma. Il giornale Il Mattino così titolava: “Messina distrutta, di Reggio nessuna notizia, sono forse morti tutti?…”

Il terremoto più devastante della storia europea, attorno a cui abbiamo già raccontato la vicenda di Giuseppe Mercalli, mise in moto un’incredibile macchina dei soccorsi che coinvolgerà tutto il giovane Paese e tanti cittadini di tutti i popoli, uniti in un unico gesto di umana solidarietà.

Gorkij ha un’idea brillante. Desidera dare il suo contributo con un’iniziativa editoriale. Immagina di pubblicare un reportage, collezionando testimonianze oculari e spunti tecnici, allo scopo di raccogliere fondi da destinare alla ricostruzione. Per questo coinvolge un amico, anch’egli stabile a Capri da qualche tempo, l’astronomo e naturalista tedesco Max Wilhelm Meyer, coprotagonista di questa storia.

Questo l’appello che farà uscire il 2 gennaio sul quotidiano russo Birzevye vedomosti: <<Una terribile disgrazia ha colpito il paese che è modello per la cultura di tutto il mondo. Nel giorno della disgrazia ogni aiuto, nei limiti delle nostre forze, sarà un ringraziamento per le grandi lezioni date da questo paese ai popoli di tutto il mondo. Chiedo a tutti i giornali, sia delle province che della capitale, di aprire delle sottoscrizioni. Gorkij.>>

Meyer arriverà in città al mattino del 1° gennaio 1909, a bordo della Duca di Genova, salpata da Napoli la sera prima. Se Gorkij sia partito con lui, e in generale se sia realmente stato o meno a Messina, resta un mistero. In effetti, nella sua affascinante, e a tratti agghiacciante, ricostruzione degli eventi post-sisma non afferma mai esplicitamente di esserci stato, ma si limita a riportare, quasi giornalisticamente, numerosissime dichiarazioni dei sopravvissuti, lasciando comunque spazio al proprio commento poetico.

Tra le testimonianze, quella di Paula Koralek, il soprano ungherese che si trovava in tournèe a Messina e che quella notte era ospite all’Hotel Trinacria, prestigioso albergo della Palazzata: <<Ieri sera cantai l’Aida, il pubblico messinese, buono e gioioso mi applaudì a lungo. […] Ancora ieri credevo di aver raggiunto la vetta più alta della felicità; e oggi mi ritrovo con le braccia spezzate, brutta e povera: oltre la coperta in cui sono avvolta, la camicia che ho sotto e questo paio di scarpe che qualche buona persona mi ha infilato ai piedi, non mi rimane più nulla.>>. La carriera della Koralek fu effettivamente compromessa per via dei problemi agli arti. Al suo compagno di scena, il tenore Angelo Gamba, andò ancora peggio. Morì, dopo ore di agonia, sepolto dalle macerie, pronunciando, almeno secondo la leggenda, le parole di addio al mondo di Radames, che aveva recitato poco prima: “O terra addio, addio valle di pianto”.

Uno dei più curiosi aneddoti raccontato da Gorkij riporta del miracoloso salvataggio operato da un pappagallo. L’uccello, ripetendo incessantemente il nome della padrona, Maria, indicò ai soccorritori dove scavare. Dalle macerie uscirono ancora vivi Maria e i due fratelli e il pappagallo fu condotto con gli onori del caso a bordo della corazzata Regina Elena.

Molte sono le scene ben più tragiche riportate nel sentito reportage. Madri che cullano le teste smembrate dei figli, scene di follia cieca, un’anziana di 102 anni che si lascia morire nonostante fosse sopravvissuta ai crolli perché aveva perso i nipoti, la polvere e il fumo degli incendi che insieme all’odore di putredine dei cadaveri rendevano l’aria delle strade irrespirabile, l’effetto della fame e della sete, non solo sugli uomini, ma anche sui cani in cerca di brandelli umani di cui nutrirsi, il dramma nel dramma dei villaggi periferici sconquassati dal sisma e dimenticati dai soccorsi. Commovente il racconto di donne siciliane e calabresi che rifiutavano di esser salvate dalle macerie perché, colte svestite dalla scossa tellurica, il pudore vinceva sul terrore.

Gorkij e Meyer, nei loro racconti, tengono molto a difendere l’onore dei cittadini messinesi, spesso ingiustamente calunniati di sciacallaggio o di apatia nei soccorsi. Avranno parole di elogio verso i soldati di tutte le marine e in particolar modo per gli instancabili marinai russi, tra i primi stranieri giunti a prestare soccorso, oggi tributati da un monumento bronzeo, svelato nel 2012, nella grande aiuola alla foce del torrente Boccetta, il Largo dei Marinai Russi.

Nel suo appassionato racconto, Gorkij si sofferma numerose volte sull’operato alacre e devoto dei reali italiani, giunti immediatamente da Napoli sullo Stretto, e in particolar modo su quello della regina Elena, che dipinge con grande umanità (forse anche con lo scopo di assestare una stoccata agli altezzosi zar di Russia). Sulla regina, oggi ricordata a Messina dall’importante viale omonimo e dal monumento in sua memoria a Largo Seggiola, Gorkij riporta alcune toccanti testimonianze: <<Si prendeva cura dei feriti come una semplice crocerossina. Tra le sue braccia, nel senso letterale del termine, morirono tre donne, una delle quali, tra le convulsioni, colpì con tanta forza la regina al petto da provocarle una tumefazione che a lungo la fece soffrire. Anche il re fu sempre al suo posto di lavoro, come un soldato semplice, per interi giorni senza concedersi riposo.>> E ancora: <<Stamattina ho visto la regina all’ospedale. Un bambino piangeva, lei gli chiede: “Cosa c’è?”. “Ho perso tutti i miei giocattoli a Reggio”. “E io adesso te li rifaccio!” dice la regina, e sedutasi su uno sgabello ritaglia delle figure da un foglio di carta”.>>

Tra le numerose testimonianze, un particolare spazio trova quella dello scrittore piemontese Giovanni Cena. Anche lui giunto in città all’indomani del terremoto e impegnato da subito nel soccorso e nella raccolta di testimonianze che confluiranno nel resoconto pubblicato con il titolo Lungo le rive della morte. Con la raccolta fondi avviata da Gorkij e Meyer, su suggerimento della scrittrice Sibilla Aleramo, compagna di Cena, si finanziò la costruzione di un asilo infantile in Calabria intitolato, per volere dello stesso Gorkij, ad Edmondo De Amicis.

A Giovanni Cena è dedicata oggi la scuola materna di Salice, mentre a Sibilla Aleramo una piccola via a Giostra, nei pressi di Villa Lina.
Maksim Gorkij, cui è stata recentemente dedicata una statua bronzea a Sorrento, così come M. Wilhelm Meyer, a Messina, sono stati completamente dimenticati.

FiGi

Per approfondire: Maksim Gor’kij e M. Wilhelm Meyer, Tra le macerie di Messina, ed. GBM (2005).
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