MESSINA – Stamattina la Guardia di finanza ha eseguito il sequestro preventivo di aziende, conti e immobili per un valore di 100 milioni di euro. Il più cospicuo mai fatto dalla procura di Messina.

Sono state sequestrate anche le quote della Ge.pa, che erano state trasferite da Francantonio Genovese – fraudolamente, secondo gli inquirenti – al figlio Luigi, si tratta delle azioni della società che ha quote della Caronte&Tourist: di fatto dunque, alcune quote societarie della compagnia di navigazione risultano sotto sequestro. Sotto sequestro anche la villa di Ganzirri.

Nell’operazione di oggi coordinata dal procuratore aggiunto, Sebastiano Ardita, dai sostituti Fabrizio Monaco e Antonio Carchietti, sono delineate ipotesi di reato che attraversano tre generazioni di Genovese. 

Si parte da Luigi Genovese, senior, morto nel 2015, a Francantonio per concludere con Luigi junior, appena eletto deputato dell’Ars, con più di 17 mila voti.

Nell’ordinanza firmata dal gip Salvatore Mastroeni è ricostruita la storia familiare dei Genovese che parte da un conto in Svizzera aperto dal Luigi senior quando Francantonio aveva appena un anno, ma rimpinguato dal deputato nazionale di Forza Italia una volta adulto.

Così scrive il gip: “La singolare storia di questo procedimento, che vede operare una dinastia, con tre generazioni implicate, di cui il primo indagabile (teorico) è Luigi Genovese senior, in realtà deceduto ed il fatto sarebbe prescritto”, anche nonno Genovese è stato deputato e ministro.

Ma Mastroeni continua: “Risibile è la dichiarazione che fa Francantonio Genovese, che la esportazione avviene quando ha un anno e non ne sa molto. Innanzitutto i soldi, a differenza delle noccioline, sono così tanti e di così tanto valore, che non si potrebbe pensare mai, almeno da una certa età, che vi sia stata una detenzione inconsapevole (smentita peraltro dalle operazioni effettuate), e se tutto inizia con Genovese Luigi Senior il reato prosegue”, fino a Francantonio “con moglie e figlio e parenti”.

L’indagine che ha portato al sequestro di oggi ha inizio nel 2013 e non parte da Messina né da accertamenti diretti su Francantonio Genovese, si tratta di un’indagine autonoma del Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza di Milano, a seguito di un’attività di verifica avviata nel marzo del 2013 nei confronti della branch italiana della Credit Suisse Life &Pension Ag., a seguito della quale venivano rinvenute polizze Unit Linked da parte di alcuni clienti italiani. Tra i 351 clienti italiani c’è pure Francantonio Genovese.

Il 14 aprile del 2015, Genovese ha dichiarato e ammesso che: “Le somme investite le ho ricevute da un conto corrente di mio padre (si tratta di somme che sia mio padre e forse anche mia madre detenevano all’estero), la cui accensione risale agli anni ‘70”.

Ma secondo gli accertamenti della procura, Luigi senior non risultava avere redditi tali da spiegare il “tesoro” all’estero.

La fonte più probabile di quel tesoretto in nero sarebbe secondo gli inquirenti “la cosiddetta “Tourist-Caronte”, (implicitamente lo ammette anche il Genovese Francantonio), è che vi è un dato peculiare, considerata la redditività di tale impresa, costante ed esponenziale”.

La Guardia di finanza di Milano, ha accertato che Francantonio nel giugno del 2005 ha sottoscritto un prodotto finanziario con la Credit Suisse Bermuda Ltd, versando un premio pari a 16 milioni 377 mila euro: “Prodotto finanziario palesemente finalizzato ad occultare capitali all’estero”, si legge ancora nell’ordinanza.

A partire dal 2013, 10 milioni di euro venivano trasferiti dalla Svizzera su un conto corrente esistente presso un intermediario monegasco, la banca Julius Bar, e intestato alla scoietà panamense Palmrich Investments S.a, riconducibile a Genovese Francantonio e a sua moglie Chiara Schirò.

“Si tratta di rilevantissime somme di denaro – si legge nell’ordinanza – provenienti con ogni probabilità dalla Tourist, destinate ai Genovese, constituenti reddito e sottratte, per anni, all’imposizione fiscale in Italia”.

Il 7 luglio del 2004 veniva fermato dalla Dogana di Ponte Chiasso e trovato in possesso di tre assegni bancari privi di data. Due di essi risultavano di importo consistente, di questi, inoltre, uno, dell’importo di 200 mila euro risultava emesso in favore della società Ge.imm, impresa riferibile a Genovese ed a Franco Rinaldi.

Il 27 febbraio del 2013 Francantonio veniva fermato dalla Guardia di finanza di Ponte Chiasso, lato entrata nello Stato italiano, e trovato in possesso di 5 mila 500 euro (vicenda già nota alle cronache dal 2015, ndr).

Per sua stessa ammissione, il deputato forzista ha provveduto a successive operazioni di trasferimento in Italia del denaro detenuto all’estero, tramite prelievi di 500 mila euro, somme che gli venivano in alberghi – hotel Tanaus e hotel dei Verdi a Roma – da persone a lui sconosciute che lo approcciavano con frasi prestabilite in codice, come un “apriti sesamo”. Particolari che “ricorda la favola di Alì Babà e i 40 ladroni”, sottolinea il gip.

Questo dichiara Genovese durante un interrogatorio – riportato nell’ordinanza –  in carcere il 15 aprile del 2015: “Sì i soldi mi venivano portati in albergo, da contrabbandieri e ci riconoscevamo con una parola d’ordine; sì ho cercato di far valere con la banca svizzera la mia importanza di uomo politico, sì a Montecarlo abbiamo costituito una società ai caraibi ma con una mera firma, mai andato lì (Bermuda, ndr)”.

Così invece giustificava i prelievi fino a 8 milioni di euro sul conto in Svizzera: “Esigenze familiari e personali, di mia moglie, dei miei figli, di mio padre, ristoranti, matrimoni, regali. Io devo dire che conducevo una vita abbastanza… con relazioni molto elevate. Credo di avere ricevuto annualmente, almeno cinquanta inviti l’anno di matrimonio  – frase che così commenta Maastroeni: “Ma 8 milioni richiederebbero partecipazioni a  matrimoni in Italia, in tutta Europa” – (…) Facendo politica ovviamente (…) il regalo anche in partecipazione. Pranzi e cene che costantemente, sicuramente quattro giorni la settimana nel ristorante, e non in ristoranti, ovviamente, dove il costo era basso. Poi vestiti, ovviamente, sia per me sia per la mia famiglia e sia per tutti. Fra regali, gioielli, regali a mia moglie e, per dire, mobili antichi, quadri, dico, potrei stare qui all’infinito, dico, se mi date il tempo io scrivo pure, cioè non è questo lo schema di riferimento. Oltretutto, vi erano esigenze familiari personali (…), in alcuni casi, mio padre, mia sorella (…). Io conducevo una vita abbastanza dispendiosa e anche abbastanza generosa nei confronti degli altri, tenuto conto anche del mestiere che facevo e tenuto conto del fatto che dai miei conti correnti non prelevavo”.

Ed ecco il perché non avrebbe utilizzato lo scudo fiscale: “Non ho utilizzato lo scudo fiscale perché ho votato contro l’approvazione della legge che prevedeva il rientro dei capitali dall’estero”, così ha detto Genovese nell’interrogatorio del 2015 riportato nell’ordinanza del gip Mastroeni.

In base alle indagini della procura di Milano, poi trasferite a quella di Messina, il fisco esigeva da Genovese circa 20 milioni di euro, ma nel frattempo – questa è la ricostruzione degli inquirenti – provvedeva a svuotare società e conti per aggirare il pagamento. Restando con “solo 800 mila euro a fronte di 18 milioni iniziali e del debito corrispondente nei confronti dello Stato”.

In sostanza ecco, secondo gli inquirente, cosa avrebbe commesso il deputato messinese: “Dopo la scoperta dei fondi esteri (ed anche dopo la condanna da 11 anni di reclusione subita dal tribunale di Messina), con la complicità del proprio nucleo familiare, ha operato su tre distinti fronti”: mettere al sicuro i fondi neri detenuti all’estero. Disfarsi di quelli “aggredibili giuridicamente”, trasferendoli ai figli e al nipote Marco Lampuri. Trasferire tutto il patrimonio posseduto “attraverso le società schermo, attribuendo fittiziamente la titolarità al figlio Luigi, attraverso operazioni societarie dall’evidente natura strumentale per sottrarli alle pretese del fisco e della giustizia penale.

In sintesi, le somme sono state trasferite ad altri soggetti allo scopo di ostacolare l’individuazione di ogni tracciabilità, e rendendo in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva da parte dell’Erario.

Soggetti che secondo gli inquirenti non potevano essere ignari, per questo risultano indagati, a vario titolo per sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, riciclaggio e autoriciclaggio, Francantonio Genovese, la moglie Chiara Schirò, il figlio Luigi, il cognato Franco Rinaldi e il nipote, Marco Lampuri.

Emerge, infatti, così la figura di “Genovese Junior che diventa consapevolmente, firmando atti e partecipando alle manovre del padre, ricchissimo e del nipote Lampuri, e sono atti organizzati a tavolino, partecipati dagli interessati e forse da altre persone esperte dal ramo rimasti nell’ombra e forse con la connivenza di banchieri, in cui comunque nessuno dei partecipi, per la presenza e gli effetti, si può dire inconsapevole e chiamare fuori”.

 

 

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