MESSINA. Il Mase, il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, ha chiesto alla Stretto di Messina 239 integrazioni all’aggiornamento del progetto definitivo, ai fini delle valutazioni d’incidenza e impatto ambientale, reputando carente il Sia, lo studio d’impatto ambientale”, proposto dalla società, e che costituirà la base della valutazione d’impatto ambientale. Cosa chiede il ministero? Dall’ambiente alla cantierizzazione, dalla sicurezza alla progettazione, per pressochè ogni ambito sono richiesti chiarimenti, spesso anche sostanziali, perchè il progetto definitivo aggiornato , presentato dalla Stretto di Messina un mese fa, sovente si rifà al vecchio progetto del 2011, o rimanda all’esecutivo ancora in fase di redazione.

La richiesta di integrazioni è normale in fase di valutazione di un progetto, ma a volta il tono perentorio, spazientito e sprezzante del ministero fa sospettare che erano documenti che avrebbero già dovuto esserci, o che sono talmente carenti da rappresentare un problema.

La stragrande maggioranza dei chiarimenti riguarda aspetti ambientali (essendo uno studio d’impatto ambientale), ma non mancano altre perplessità. Dal punto di vista dell’analisi costi-benefici è richiesta “una descrizione del contesto sociale, economico, politico e istituzionale in cui si cala il progetto. Il Proponente chiarisca questi aspetti per analizzare la sostenibilità dell’opera”, scrivono dal ministero, chiedendo anche alla Stretto Spa di chiarire se è stato tenuto conto dell’aggiornamento degli studi sui flussi di traffico previsti in relazione alla messa in esercizio del ponte nella stima passeggeri e merci, ma soprattutto di “specificare meglio la tipologia e varietà di costi di investimento, manutenzione e gestione dell’opera“, che il ministero domanda se siano aggiornati o ancora quelli del 2011, all’epoca del primo progetto definitivo.

Problemi anche di leggibilità: tavole relative all’aggiornamento dello studio del traffico, “risultano materialmente non leggibili per problemi di caratteri. Si chiede di produrre un documento revisionato”.

Ogni tanto, il ministero di rivolge alla Stretto a muso duro: “Lo Studio di Impatto Ambientale non descrive il sistema di cantierizzazione limitandosi all’elenco delle aree di cantiere individuate. Si chiede pertanto di integrare con indicazioni specifiche per tutte le aree di cantiere e la viabilità di cantiere, sia esistente che di nuova apertura. Quantificare le superfici interessate da tutte tali aree, distinguendo in occupazioni temporanee e definitive, descrivendo lo stato attuale dei luoghi, la loro destinazione e il loro effettivo utilizzo. Il tutto dovrà essere sintetizzato in tabelle e grafici di chiara lettura, senza rinvio ad altri elaborati“.

Per quanto riguarda la vulnerabilità del progetto a rischio di gravi incidenti o calamità, il ministero chiede “un quadro aggiornato e congruente, approfondendo le condizioni di
pericolosità da maremoto dell’area dello Stretto”, e la “definizione degli scenari di rischio
sismico aggiornati in relazione allo stato attuale dei luoghi, alla fase di costruzione e allo stato post-operam”, ma anche “e delimitazioni delle aree di progetto (cantieri ed ingombro finale) ricadenti in zone a rischio e pericolosità da alluvione e frane per tutti i tempi di ritorno”.

Dal punto di vista ambientale, le richieste di integrazioni sono numerosissime: dal ripascimento a spiegazioni più dettagliate su dinamica costiera del litorale, da chiarimenti sull’effetto dei pontili su ambiente e fauna marina al’analisi delle “interazioni idrauliche e
sedimentarie tra alvei e linea di costa”, dal “integrare la documentazione con i piani di ripristino ecologico per tutti gli habitat marini sottoposti a impatti”, a “fornire evidenze scientifiche e modellistiche tali da consentire la dimostrazione dell’esito atteso”: evidenza del fatto che proprio sull’aspetto ambientalistico il progetto definitivo aggiornato presenta decise carenze. 

Che non sono le uniche: “Si richiede di approfondire l’analisi degli impatti sui corpi idrici interferiti dalle opere direttamente e indirettamente sul sistema idrico dei laghi di Ganzirri, Faro e del Canale Margi“. Ciò per cui la Città metropolitana ha dato parere “non favorevole” al progetto definitivo. Proprio sulla laguna di capo Peloro le richieste di chiarimenti sono molte, circa una quarantina, per avere un quadro di tutti i pericoli per il delicato equilibrio dell’area.

Interessante anche il fatto che la Stretto Spa debba “aggiornare e dettagliare i quantitativi di risorsa idrica necessari per le attività previste nelle attività di cantiere per la realizzazione di tutti gli interventi progettuali, individuando in dettaglio le fonti di approvvigionamento utilizzabili”: il che potrebbe essere un problema, data la fortissima siccità prevista per i prossimi mesi. E infatti il ministero chiede anche di approfondire “il possibile impatto di un eventuale approvvigionamento delle acque attraverso l’acquedotto comunale, facendo riferimento alle situazioni critiche di fornitura idropotabile per la città di Messina“.

Qualcosa non va anche con le cartografie, non allegate al progetto, o vecchie di oltre dieci anni. Il ministero richiede “un congruente studio geologico strutturale, studi di microzonazione sismica per analisi delle amplificazioni locali e definizione delle aree suscettibili alla liquefazione, tenendo anche in conto gli effetti di sito avvenuti in occasione dei terremoti storici nelle località costiere comprese tra Capo Peloro e Tremestieri e nelle località interne entro 5 km dalla costa. Con riferimento alla caratterizzazione delle faglie si richiede restituzione cartografica a scala 1:5000 di tutti i sistemi di faglia attivi, con distinzione delle faglie capaci”.

Una parte che evidentemente nel progetto definitivo è piuttosto carente è quella relativa al “Piano di utilizzo delle terre”: quelle che saranno movimentate dai lavori, da dove provengono, che fine faranno, che impatto avranno sull’ambiente e sulle persone. Questo perchè i documenti presentati dall Stretto di Messina, si legge nella relazione, da un lato fanno riferimento a indagini passate “sulla base delle indagini ambientali eseguite nel 2010”, dall’altro fanno riferimento a indagini future “e salvo le verifiche da eseguire in fase di progettazione esecutiva ed in corso d’opera”. Interessante notare come il progetto definitivo dica poco o nulla sui siti di scavo o di discarica e destinazione finale, perchè il documento “rinvia alla fase di progettazione esecutiva tutte le verifiche propedeutiche a valutare l’effettiva disponibilità dei siti, l’idoneità ambientale in termini di verifiche ed analisi sia quantitative che qualitative, la compatibilità degli stessi al ripristino ambientale, la disponibilità effettiva dei siti”.

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