MESSINA. Non c’è pace per il gazebo del nuovo locale che Miscela d’oro ha aperto a piazza Cairoli al posto dello storico Billè, qualche mese fa. Dopo le discussioni che ne hanno accompagnato il disvelamento, a giugno, con la polemica scatenata da Francesco Triolo, presidente dell’ordine degli Ingegneri di Messina, in un articolo apparso sul portale Ingenioweb, in cui senza mezzi termini si scagliava contro la struttura, e la risposta di Filippo La Mantia, celebre chef palermitano coinvolto nella gestione del locale, che sottolineava come il progetto architettonico fosse di uno dei studi più importanti al mondo, Studio Lissoni, adesso è il Comune di Messina a chiedere la “rimozione delle opere eseguite in difformità al progetto autorizzato”.

Secondo l’ordinanza emanata da Palazzo Zanca, il manufatto, che nei mesi ha riscontrato il gradimento della cittadinanza, all’epoca del primo sopralluogo da parte dei vigili, a metà giugno, presentava “pareti verticali fisse, contrariamente a quanto descritto nella relazione tecnica del 15/07/2019, che prevede la struttura con “i tre lati completamenti aperti”, prevedendone la chiusura solo “in particolari periodi con condizioni climatiche avverse, con vetrate trasparenti, poste su binari scorrevoli e amovibili”, e “lievi variazioni dimensionali (misure e quote)”.

Un problema che Miscela d’oro risolveva con l’inoltro agli uffici comunali, il 24 luglio, di “procedimento di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 37 del D.P.R. n. 380/01 per le opere eseguite in difformità a quelle previste nella SCIA”.

A mettersi di traverso, due mesi dopo, a metà settembre, è stata però la Soprintendenza, emettendo un provvedimento con il quale esprime “parere contrario al mantenimento dell’opera difforme eseguita” e ordinando alla società “la messa in pristino del manufatto allo stato strutturale originario”.

Preso atto, il Comune decide di procedere alla “diffida non rinnovabile alla demolizione delle opere eseguite in difformità e la rimessa in pristino del manufatto allo stato originario del progetto autorizzato”. La società ha sessanta giorni di tempo per impugnare il provvedimento davanti al tar.

 

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