MESSINA. Lo stabile sarà vincolato e di interesse culturale perchè opera del celebre architetto Gino Coppedè, che a Messina ha lasciato ovunque tracce del suo genio. Nonostante la soprelevazione. E’ la procedura che la sezioni Beni architettonico estorico-artistici della Soprintendenza di Messina ha iniziato per la “dichiarazione dell’interesse culturale” del palazzo. Ma solo il piano terra ed il primo piano. Perchè il secondo è una brutale superfetazione.

Dell’intero isolato, antica dimora della famiglia Costarelli, progettato nel 1913 dall’architetto Gino Coppedè ed approvato nel 1915, resta integra soltanto la pozione ubicata ad angolo fra via Tommaso Cannizzaro e via Ugo Bassi, in quanto I’isolato è stato bombardato durante la seconda guerra mondiale. “Il piano terra ed il primo piano dell’immobile, escluso il secondo piano in quanto sopraelerazione realizzata successivamente, rivestono interesse storico, artistico ed architettonico in quarto significativo esempio di architettura della ricostruzione post-terremoto a Messina”, scrivono dalla Prefettura.

“Il Palazzo realizzato per l’avvocato Riccardo Costarelli e la moglie Giuseppina Roberto, insiste nell’area dell’isolato 223 del PR di Messina. Il progetto fu presentato dalla Società Anonima Italiana “Ferrobeton” ed i lavori di costruzione iniziarono nel 1913. L’originario progetto redatto dall’architetto Gino Coppedè fu modificato e venne definitivamente approvato dalla Commissione Edilizia Comunale nel 1915. L’edificio è realizzato con una struttura in cemento armato con travi e pilastri ed impiega il sistema brevettato da Monier e rielaborato dalla ditta tedesca Wayss e Freytag. Erano anni nei quali si sperimentava l’impiego del calcestruzzo armato e ancora la tecnica non era pienamente consapevole delle potenzialità del nuovo materiale. Ciò comportò la necessità di “vestire” gli edifici in cemento armato e mattoni con intonaci che potevano, in modo poco dispendioso, simulare l’impiego della pietra attraverso il confezionamento di impasti a base cementizia da utilizzare sia per configurare le specchiature lisce ad intonaco che veniva lavorato, graffiato, inciso in modo da apparire come pietra, sia per configurare le mostre delle aperture, le lesene, gli elementi decorativi che garantivano, oltre alla caratterizzazione dell’edificio, anche un significativo decoro urbano”, si legge sul sito delle Scalinate dell’arte.

La parte superstite che ancora conserva una traccia della configurazione originaria si riscontra nell’angolo tra via Tommaso Cannizzaro e Via Ugo Bassi e, pur se sopraelevata negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, mostra il diverso trattamento riservato dalle facciate al piano botteghe, caratterizzato dall’impiego di una bugnatura a stucco il cui disegno si conforma in funzione delle aperture ad arco a tutto sesto rendendone una cornice lievemente ogivale. Il piano nobile, caratterizzato dall’impiego del mattone che alterna elementi di punta ed elementi di coltello, impiega bifore contenute entro archi a tutto sesto resi ogivali dalla modanatura di contorno realizzata in stucco di cemento. Solo nella loggia d’angolo e in corrispondenza del volume leggermente avanzato che segna uno degli ingressi all’edificio, sono impiegati elementi con architravi su mensole informati all’architettura medioevale. Anche in questo caso l’ultimo restauro ha recuperato parte degli elementi formali trascurando le originarie composizioni degli intonaci che avrebbero garantito una diversa percezione di questa pregevole architettura.

 

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