MESSINA. Archiviata la maratona elettorale, catalogati i risultati, celebrate le vittorie e metabolizzate le sconfitte, sul campo restano i dati a partire dai quali costruire l’analisi politica di Messina, che nel giro di qualche mese rinnoverà tutte le sue cariche politiche. Le regionali, in questo senso, sono già state un mezzo terremoto. Per dieci motivi.

 – Gli uscenti a casa. Su undici che cercavano riconferma, ad ottenerla sono stati soltanto in due. Incredibilmente, non sono stati eletti Nino Germanà e Marcello Greco (una legislatura per entrambi), Beppe Picciolo (due), Pippo Currenti (tre), Pippo Laccoto (quattro), Santi Formica (addirittura cinque), e il presidente uscente dell’Ars Giovanni Ardizzone (quattro legislature). Non si sono ricandidati Franco Rinaldi e Filippo Panarello. E il numero sarebbe potuto essere più consistente, perché Bernadette Grasso, quarta nella sua lista, rientra all’Ars in virtù dell’inserimento nel “listino” del presidente.

 – Luigi Genovese non è il più votato in Sicilia. Non è riuscito, al ventiduenne, di bissare il risultato dello zio Franco Rinaldi nel 2012, quando con quasi diciannovemila voti si è rivelato il candidato dell’isola con più preferenze. Luigi Genovese ne ha presi 17.359 (ed è secondo in Sicilia): un bottino enorme, ma che impallidisce di fronte 32.280 del catanese Luca Sammartino del Pd.

– L’exploit di Franco De Domenico. Il Pd va all’università: non è solo l’ottimo risultato del direttore generale dell’Ateneo messinese, che con 11.224 è di gran lunga il più votato del suo partito (ed il terzo assoluto nelle 780 sezioni messinesi), ma l’intera sostituzione, all’interno del partito, del vecchio blocco di potere che aveva assicurato a Pippo Laccoto quattro legislature da parlamentare all’Ars e che ieri si è sgretolato. L’operazione De Domenico è la “testa di ponte” del “Piano Marshall” che l’università sta compiendo per accreditarsi come soggetto politico e non più come interlocutore: un’operazione in tre mosse: De Domenico all’Ars, il rettore Pietro Navarra al Senato a marzo, e Michele Limosani alle amministrative a fine giugno.

 – L’improbabile ricandidatura di Renato Accorinti, alla conta dei voti. L’ha annunciato qualche mese fa, non sembra intenzionato a rimangiarselo: Accorinti di abbandonare Palazzo Zanca non ne ha voglia. Ma l’ambizione si scontra con i numeri: 796, i voti di Ketty Bertuccelli, in lista con Cento Passi e sostenuta dal movimento Cambiamo Messina dal Basso. Che oggi conta meno di ottocento voti. Che probabilmente, pur con tutti i distinguo tra amministrative e regionali, bastano a malapena per fare il consigliere comunale. E stavolta, a differenza del 2013, quei voti non saranno accompagnati dal voto di protesta, di opinione, di “sgambetto”.

 – Cateno De Luca non sfonda in città (ma ha altri problemi). “Detto Messina“, aveva scritto nella scheda elettorale: un modo per calcolare quanto realistiche potessero essere le sue chanches di diventare sindaco, affidandole anche ai voti dei trecento che l’ex sindaco di Santa Teresa ha inserito nelle sette liste che ha intenzione di presentare alle amministrative. Un esperimento riuscito a metà. In città, infatti, De Luca si è fermato appena oltre la soglia dei quattromila voti (riuscendo comunque ad acchiappare un seggio all’Ars). Per lui, però, i problemi al momenti sono ben altri.

 – La scarsa percorribilità della Messina-Palermo ferma le velleità di Crocetta. Voleva candidarsi soltanto nella provincia di Messina, dove, ha sottolineato più volte, ha scelto di vivere, e precisamente a Tusa. Il clamoroso ritardo però nella presentazione della lista Micari dove Crocetta doveva essere capolista lo ha escluso dalle elezioni. Allo scadere, infatti, della presentazione della lista, Davide Siragusano, presentatore della lista, non si trovava dentro l’ufficio elettorale, arrivando otto minuti dopo. Ricorsi al Tar di Catania, a quello di Palermo e poi al Cga sono risultati infruttuosi e per Crocetta non c’è stato niente da fare. Ma per molti il ritardo non ha fatto che favorire l’ex presidente della Regione, forse timoroso di non ottenere un grande successo elettorale. Certamente visti i risultati ottenuti da molti candidati considerati di peso, il timore di Crocetta, qualora ci fosse stato, sembra essere stato più che ben riposto. Sconfitto a Messina di certo non avrebbe potuto concedersi affermazioni come quella a urne ancora calde: “Hanno voluto uccidermi e si sono suicidati”.

 – Il Movimento 5 stelle è la prima forza politica sullo Stretto. Due deputati a Palermo (come Forza Italia) e primo partito in città. Quello dei grillini è stato un risultato da incorniciare: 21.440 voti (il 23.55%) a cinque stelle contro i 18525 (20.35%) del partito di Silvio Berlusconi vogliono dire quasi tremila preferenze e tre punti percentuali in più rispetto alla corazzata forzista. Un bottino di voti, però, da riconfermare alle amministrative. E non sarà facile, considerato il clamoroso flop del 2013.

 – Il tramonto del “Centro”. Fino a un mese fa era presidente dell’Assemblea regionale siciliana, oggi è fuori da palazzo dei Normanni, con appena 2600 voti (4990 in tutta la provincia). Una miseria, rispetto al blasone politico ed alla storia di Giovanni Ardizzone, all’Ars da quattro legislature. Una campagna elettorale sottotraccia, senza entusiasmo, in una lista senza voti che ha faticato parecchio per trovare gli otto da schierare. Urge ripensare strategie e posizionamenti. Anche per il maggiorente Gianpiero D’Alia, perchè l’oblio politico è dietro l’angolo.

– Restare fuori dall’Ars quando ti hanno votato in diecimila. Nessuno dei due avrà uno scranno a Sala D’Ercole: e già così brucia parecchio, soprattutto se sei un deputato uscente. Ma il vero sale sulla ferita è quando ti votano in 10.242 (Beppe Picciolo) o addirittura in 11.046 (Nino Germanà), e sei quarto o quinto tra i più votati. Preferenze che torneranno utili tra un paio di mesi, per le politiche. Per Germanà e Picciolo, la campagna elettorale non si ferma: e da domani si lavora per garantirsi un posto a Roma.

– Eravamo nemici, oggi siamo amici. Quella di Elvira Amata, neo deputata all’Ars in virtù della presenza nel listino del presidente (come Bernadette Grasso, con la quale la accomuna anche il non esaltante risultato – quarte entrambe – nelle rispettive liste) è una storia abbastanza ironica. Perchè la consigliera comunale di Fratelli D’Italia, nel 2012 ha contribuito alla sconfitta di Nello Musumeci, avendo scelto di correre con Grande Sud di Gianfranco Miccichè, all’epoca fuori dalla coalizione di centrodestra che sosteneva Musumeci. E proprio i voti di Grande sud sottratti al centrodestra sono stati quelli che hanno fatto vincere Rosario Crocetta. Oggi, Musumeci la Amata l’ha addirittura inserita nel listino. Strana, la vita.

 

 

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Salvatore
Salvatore
9 Novembre 2017 19:13

D’accordo su tutto o quasi, specie sull’ultima osservazione…strana la vita…