Max Pezzali al Franco Scoglio

 

MESSINA.  Avevo 13 anni e già collezionavo concerti, ma quello del 19 ottobre del 1997, al Palasport di Capo d’Orlando, non era un live qualsiasi, era il tour degli 883 de “La dura legge del gol”. Max Pezzali e Mauro Repetto erano sulla cresta dell’onda ed ancora totalmente inconsapevoli che il loro pop, dai testi irriverenti ed ironici, sarebbe diventato un’icona degli anni ’90.

Un successo dovuto, probabilmente, al fatto, di iniziare tutto un po’ per gioco, risultando all’avanguardia in un periodo in cui non c’era una via di mezzo tra la canzone d’ autore ed i classiconi datati, ma soprattutto alla figura mitologica di Claudio Cecchetto che, nel 1993 li prese sotto la sua ala protettrice, lavorando insieme ai loro ai primi pezzi, e portandoli a cambiare, fortunatamente, il nome del gruppo da “I Pop” agli 883 in onore dell’omonimo modello di moto Harley Davidson, di cui i due erano grandi fan.

Da lì è storia, ma come tutte le storie più belle si arriva alla rottura: è il 2003 e Repetto, che sostanzialmente, apparentemente saltellava e basta, lascia il gruppo, non regge più la forte pressione del successo si dice, ma si legge che molla tutto e va vivere a Miami per correre dietro alla modella Brandi Quinones, per poi finire a lavorare a Disneyland Paris come cowboy e marinaio, felice e mai pentito di aver troncato con gli 883.

Max, con i suoi occhioni blu, continua e, tra alti e bassi, non smette mai di scrivere per una generazione che, nonostante gli anni 2000 inoltrati, non è già passata ma sta ancora passando. L’affetto di chi lo segue da sempre, un po’ come se fosse quel compagnone di scuola mai cambiato, lo ripaga alla grande e lui, adesso, ricambia con Max Forever 2024, il suo primo tour negli Stadi all’ età di 56 anni.

 

Max Forever a Messina

Ieri sera, nella sua unica tappa siciliana, allo Stadio Franco Scoglio – San Filippo di Messina, eravamo in 28912 a ballare e cantare per sentirci piccoli ma grandi. Con lui sul palco, in versione gonfiabili, ci sono i protagonisti per eccellenza della sua discografia: la ragnatela dell’uomo ragno, il pallone giallo della dura legge del gol, i cactus di nord sud ovest est, la mano per la donna il sogno ed il grande incubo, il manga della regina delle celebrità, l’intramontabile cappellino e così via.

Si inizia alle 21.35, arriva la banda Giuseppe Verdi di Faro Superiore che accompagna Max nei primi due pezzi: “Viaggio al centro del mondo” e “Bella Vera”. Se ne spara altri due di fila, “La regina delle celebrità” e “La regola dell’amico”, con un pubblico che già alle prime note fa capire le sue chiare e ferme intenzioni, ovvero quelle di non smettere mai e dico mai di cantare.

 

L’amore secondo Max Pezzali

Un saluto veloce, un invito a continuare il viaggio insieme a lui e si riparte con “Io ci sarò” e “Come deve andare”, mentre tu capisci che dopo tutto è colpa anche sua, e non solo delle fiabe della Disney, se la nostra generazione è cresciuta con altissime aspettative nelle relazioni sentimentali, che puntualmente, però naufragano nel disastro più totale. Probabilmente perché ci siamo così tanto impegnati nell’immaginarle che poi al momento di applicarci dimentichiamo persino ABC del volversi bene.

Ma fortunatamente un beat prepotente, fantasticamente cafone come la dance anni ’90, e riconoscibilissimo irrompe, così per i prossimi due pezzi si capisce chiaramente chi dei presenti è nato a metà degli anni ’80 e chi no: “Rotta per casa di Dio” e “Non me la menare” (capolavori). Si corre veloce con “Jolly Blue”, “La radio ha mille watt”, “La donna il sogno ed il grande incubo”, fino ad arrivare a “Sei un mito” e “Nella notte” che ti fanno chiaramente capire, per chi ancora avesse qualche dubbio, che i synth belli grezzi, quelli che l’elettronica attuale rivendica ed involgarisce, sono assolutamente figli di quei tempi.

“Grazie Messina, siete caldissimi” urla Max, e tu già ti prepari a saltellare per “La lunga estate caldissima”, prima di tirare fuori gli accendini, o meglio le torce degli smartphone, ed i fazzoletti, per la love zone. “Una canzone d’amore”, e siamo tutti d’ accordo che i padri fondatori dell’indie posso provarci ma non arriveranno mai a scrivere d’ amore in modo così semplice eppure così originale? La canti e l’ascolti, l’ascolti e la canti, frame della tua vita ti scorrono in mente, dalla prima cotta delle elementari, alla crush, fino a quell’ ex che non ti spieghi perché sia ex, ma ad un certo punto ti ricordi di quel video pazzesco in cui Pezzali sposava la “bionda” della birra Peroni e tiri un sospiro di sollievo per aver distolto la tua attenzione dai tuoi pensieri.

È il momento di “Come mai” con tanto di kiss cam, per inquadrare sul grande schermo i baci di chi sta nel pit, ed ancora “Nessun Rimpianto” che Max canta con così tanto trasporto da farti temere che se lui ci sta ancora sotto dopo così tanto tempo, tu potresti essere spacciato. Arriva “Eccoti” e subito dopo al microfono “adesso facciamo un pezzo mai fatto in nessun live, l’abbiamo ripescato dai tesori del passato perché sappiamo che ci siete affezionati” ed io, qui, ve lo confesso, speravo tantissimo in “Se tornerai”, ma mi sono accontentata di “Ci sono anch’io”.

 

Un abbraccio collettivo

I cuori spezzati e solitari possono prendere un attimo di respiro, perché con “La dura legge del gol” e la presentazione della band, Ernesto Ghezzi tastiere-piano-synth-organi, Giorgio Mastrocola chitarre, Giordano Colombo batteria e producer, Davide Ferrario chitarre-synth-tastiere-produzione show, e quel “grazie, siete un pubblico straordinario perché voglio che vi ricordiate sempre che lo squadrone siete voi”, possono sentirsi parte di un abbraccio collettivo.

Boato per “Hanno ucciso l’uomo ragno”, occhi lucidi per “Gli anni” e “Grazie Mille”, quest’ ultima rigorosamente in acustico, che sembra segnare la fine del concerto: “non avete idea per me che emozione sia, alla mia età – dice Max – essere in tour quest’ estate negli stadi per la prima volta a 56 anni, e credo che il modo migliore per ringraziarvi sia con una canzone”.

Ovviamente, neanche a dirlo, all’urlo “fuori fuori”, momento super cringe che però regala le sue soddisfazioni, anche solo perché sai che fin quando non si accenderanno le luci dell’intera struttura puoi continuare a crederci senza restare deluso, torna sul palco la Banda Giuseppe Verdi di Faro Superiore per accompagnare Max Pezzali e la sua band in “Nord Sud Ovest Est” e “Tieni il tempo”, e se sulle tribune si balla e salta sul posto, il prato è un tripudio di trenini e girotondi. Si chiude, questa volta sul serio, con “Con un deca”, forse il pezzo più calzante per una città come la nostra, e mentre risuonano quelle analogie sulle note di “ne parlavamo tanti tanti anni fa, di quanto è paranoica questa città”, una pioggia di banconote, in versione lira Max Forever, piove sul pubblico.

Via ai ringraziamenti, cala il sipario ed inizia l’odissea del ritorno a casa che è proprio quell’ ago della bilancia per farti capire che per sopportare, in piena estate, tutta quella bolgia, nell’arrivare e nello sfollare, nel prendere la navetta o nelle code dei parcheggi, ne deve valere sul serio la pena. Ne è valsa la pensa? Decisamente sì.

Il racconto di una generazione

È stato come sfogliare un diario, dove pagina per pagina, la poetica degli anni ’90, con le sue parole semplici ma vere, e le sue note pulite e ripetute, ha segnato e continua a segnare il percorso dei figli di quegli anni, nonostante le mille nuove contaminazioni.

Siamo fatti di quella pasta, di quei retaggi generazionali, un po’ grotteschi un po’ incompresi, che ancora ci portiamo dietro nonostante il cambiamento. Una generazione che sin da subito ha afferrato di aver un futuro incerto senza preoccuparsene più di tanto, capace di non prendersi mai sul serio ma anche di frignare alla prima sciocchezza, che ha un brutto rapporto con le responsabilità, che spesso fa delle proprie insicurezze un’arma, ma sempre pronta al momento di far festa e che quando vuole ha un cuore grande.

Certo la figura dell’uomo un po’ impacciato davanti ad una bella ragazza, o delle comitive maschili che vanno in tilt davanti al gruppo di amiche che li aspetta per uscire, o del ragazzo che si strugge d’amore e ti dedica le parole più belle che possa pensare è decisamente scomparsa, e non so, se alla luce di quello che succede al mondo d’ oggi sia proprio un bene, forse come sempre nella vita servirebbe una via di mezzo.

Ma quello di ieri sera è stato uno spettacolo che ci rappresenta ancora pienamente e che riesce a coinvolgere anche le generazioni dopo. I ricordi sono forse quel cassetto più bello da aprire al momento giusto, e spesso per farlo basta solo una nota: le stronzate con gli amici di sempre, i primi lenti, il walkman, le canzoni che prima cercavi in maniera ossessiva alla radio ed oggi hai belle e pronte in una playlist che ti sei creato ad hoc, i video con Alessia Merz, Paola e Chiara come coriste, l’ intramontabile “questa casa non è un albergo” dei tuoi genitori, e così via.

È decisamente un pezzo importantissimo della storia della musica italiana, uno di quelli indispensabili ed intramontabili, precursore di sonorità e ritmo. I pezzi sono tutti riarrangiati, ma al primo accordo li riconosci, c’è qua e là qualche suono della musica di tendenza di oggi, ma se l’ascolti attentamente ti rendi conto che non porta nessuna novità, va solo ad esaltare un qualcosa che già esisteva.

Max Pezzali torna ad avere una padronanza della scena di un tempo, anche se sulle spalle ha quella consapevolezza di non essere più un ragazzino, ma i suoi occhi sono sempre li stessi, buoni ed espressivi, sono gli occhi di chi nonostante il successo ne ha passate tante e si riaffaccia alla fama in punta di piedi con quell’umiltà che lo rende ancora più umano. Verrebbe decisamente voglia di abbracciarlo e ringraziarlo. Trenta canzoni, o poco più, circa 125 minuti di musica, che potrebbero essere dipinti come un karaoke ma non lo sono, sono reali e sentiti. E se tra un pezzo e l’altro ti è scesa una lacrimuccia o scappato un sorriso senza motivo, non sei un nostalgico, non sei vecchio, sei semplicemente vivo.

Del resto, tutto va come deve andare.

 

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peppe
peppe
28 Gennaio 2025 0:06

Hai scritto diverse inesattezze.
Claudio Cecchetto li ha presi sotto l’ala protettrice nel 1991 e non nel 1993, anno in cui erano già delle star.
Mauro Repetto è andato via nel 1994, subito dopo l’uscita di Nord Sud Ovest Est, e non nel 2004. Nel 1997 a Capo d’Orlando sicuramente non c’era ma avevi 13 anni e sei perdonata 😉