MESSINA. Piazza gremita, in perfetta coerenza con i grandi risultati ottenuti alle elezioni regionali e nazionali. Persone di tutte le età si alternano nell’attesa, si aspettano le parole del neo ministro Luigi Di Maio, c’è voglia di ascoltare quello che per loro è il cambiamento. La campagna elettorale del candidato sindaco Gaetano Sciacca tocca il suo picco più alto, un domenica sera che rappresenta la vera forza del Movimento.

I pezzi da novanta scendono in campo, lo fanno per supportare Sciacca ma immediatamente si fanno prendere la mano dal tema nazionale. Francesco D’Uva il più lucido sull’argomento Messina, idem Grazia D’Angelo, mentre prende la trasversale autocelebrativa Alessio Villarosa. Modi diversi di comunicare, forse difficile far cantare in coro così tante voci e su uno spartito sconosciuto. Messina è tema complicato, affrontarlo in piazza nei giorni successivi alla formazione del governo diventa impossibile.

Non ha il tempo di intervenire Valentina Zafarana, la deputata regionale è travolta dall’arrivo del ministro Di Maio. La parola scivola nelle mani e nelle intenzioni di Gaetano Sciacca: solita retorica scontata da campagna elettorale, con il cavallo di battaglia della messa in sicurezza del territorio sventolato come un vessillo. Le sue parole sono accompagnate dal sottofondo di una piazza rumorosa, che partecipa attivamente e vuole far sentire la sua voce arrabbiata. Il momento clou arriva presto: parla Di Maio.

Il coro “Luigi, Luigi” lo invita a prendere la parola. Si schernisce il ministro, forse travolto da un entusiasmo figlio della speranza. C’è quel pizzico di fanatismo visto negli anni della prima fase del berlusconismo, sensazione rivista in ogni manifestazione politica ritmata dal fascino del leader. Di Maio è capopopolo riconosciuto, trova coraggio trascinato da una città che ha dato tanto al Movimento. Occhi sgranati e orecchie aperte, non c’è però nulla di spasmodico nell’attendere le promesse del leader politico, scene viste e riviste in piazze anche dal colore diverso.

Manca Messina nel discorso del vice-premier. Si colora fuori dai bordi, ci sono da rivendicare vittorie elettorali e giustificare accordi. La piazza risponde presente, probabilmente assente quell’elettorato di sinistra che vedeva nel Movimento la rivoluzione. Non cita quasi mai la Lega o Salvini, parla dell’altra parte politica come se volesse porre una distanza ideologica. Forse troppo tardi, il contratto è firmato. L’accordo di governo scandisce il suo intervento: reddito di cittadinanza e tagli ai costi della politica sono gli ingredienti più ghiotti per riempire la pancia della piazza. Messina arriva solo alla fine: Sciacca è l’uomo giusto, poi arriva quella dichiarazione che strappa applausi ma dovrebbe far riflettere. “Con Sciacca la città di Messina avrebbe un sindaco legato al governo nazionale”… pausa di riflessione necessaria per due motivi: puzza di vecchia retorica politica da Prima Repubblica, anche con Bramanti la città avrebbe un sindaco legato a Roma dato l’appoggio della Lega. Il secondo punto è un paradosso figlio della storia contemporanea, ma comunque una strana realtà.

Applausi scroscianti, torna il coro “Luigi, Luigi”, chi sta in prima fila riesce anche ad interloquire con il ministro e strappare attimi di attenzione. Prima di andar via un uomo lo richiama, denuncia il monopolio dei Franza nel traghettamento dello Stretto: Di Maio si china e lo ascolta, sorride e rassicura. Probabilmente conosce il tema ma non nei dettagli, sicuramente capisce che ogni città racchiude particolarità uniche e problemi non risolvibili da promesse snocciolate in campagna elettorale.

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