Durante i miei non esattamente gloriosi anni liceali avevo un grande difetto: faticavo a farmi rapire dalle materie, vuoi per limiti miei o dei professori–fatto sta che su alcuni concetti proprio non ero lì, vagavo con la mente chissà dove. Un giorno però gli uccellini che cinguettavano nel mio cervello si zittirono: si stava parlando in classe del concetto filosofico del motore immobile, che assimilai per farlo maldestramente mio negli anni successivi, calpestando con tutta probabilità ogni grammatica filosofica. Ancora oggi, quando si parla di motore immobile, mi viene in mente la Luna, la creazione più bella di questo universo, l’atto finale verso cui tende tutto, la festeggiata della settimana che inizia oggi: è la moon week, forse non per tutti ma per noi sicuramente sì (scusaci Peter Gomez, tranne che per le mie strambe idee filosofiche qua ci atteniamo ai fatti certificati), e queste sono le nostre canzoni per la luna.

 

Moonloverz – I ticket del viaggio

 

 

Azure Stellar, ElDoMino, Soulcè e Swelto, in rigoroso ordine alfabetico, sono gli amanti della luna che nel 2016 hanno pubblicato un disco che è un vero e proprio atto di amore, l’omonimo Moonloverz. La comunicazione radio con “Apollo went into orbit around the moon” funge da intro a I ticket del viaggio, pezzo delicato da assaporare preferibilmente a luce spenta, magari mentre la luna splende sulla vostra città, fuori dalla finestra. I quattro hanno talento e nell’ambiente lo sanno tutti quelli che ne capiscono, per orgoglio locale citazione dovuta per Soulcè, al secolo Giovanni Arezzo, che viene dalla nostra Trinacria e ha una scrittura che tanti si sognano la notte. Mettiamo le nostre stelle dentro una lanterna e continuiamo il nostro omaggio, che siamo solo all’inizio.

 

R.E.M. – Man on the moon

 

 

Automatic for the people è un disco in cui non esiste nulla di sbagliato: ogni canzone è straordinaria, suona meravigliosamente, è di pura classe e per chi verga queste righe, come avrete intuito, rappresenta il miglior disco dei R.E.M. anche se non di moltissimo. Ciò che impreziosisce Automatic for the people è forse il trittico finale, perché Man on the moon, Nightswimming e Find the river una dopo l’altra taglierebbero le gambe a chiunque: un tripudio di emotività aperto proprio dal brano dedicato ad Andy Kaufman, utile a sbertucciare i cospirazionisti secondo i quali non siamo mai andati sulla luna. Perché il disco è dei primi anni ’90 e testimonia che i creduloni ci sono sempre stati, ma diciamo che non avevano i social a fungere da improbabile megafono.

 

Pink Floyd – Astronomy domine

 

 

In modo quasi sfacciato a metà playlist, forse mancando di rispetto non dando apertura o chiusura a una delle band più influenti della storia di questa arte. Ma i Pink Floyd di The piper at the gates of dawn non erano *ancora* i Pink Floyd amati poi negli anni, quelli di Waters e Gilmour, no: qui era ancora presente un tale, un pazzo, un diamante pazzo per essere precisi, chiamato Syd Barrett. Astronomy domine, vuole la leggenda, nasce da una sera in cui Syd aveva utilizzato qualche sostanza di troppo ed era convinto di essere nello spazio; musicalmente uno dei brani più interessanti della carriera stratosferica dei Pink Floyd, uno dei pezzi più importanti dell’eredità lasciata da Syd, che ha lasciato questo pianeta il 7 luglio del 2006, causando un vuoto creativo immenso e praticamente impossibile da colmare.

 

Nada – Luna in piena

 

 

Se non avete mai visto Nada dal vivo, fatevi un favore: rimediate. Una carriera che parla da sé e una voglia di stare sul palco ancora immensa, oltre a un talento che resta uno dei più puri tra le voci femminili italiane, come testimonia anche l’ultimo disco È un momento difficile, tesoro, uscito a inizio anno su Woodworm. Oggi però andiamo indietro di una dozzina d’anni per il singolo omonimo del disco Luna in piena, in cui lady Malanima utilizza la metafora della luna per donarsi in un momento in cui condividere e sbriciolare le proprie paure, mettendosi a nudo, diventando come, appunto, luna piena tra le sue mani. Nonostante non sia strettamente un brano che parla del nostro satellite naturale preferito, trova comunque posto qui perché forse è il migliore a spiegarne la funzione per noi esseri umani: metafora di vita, metafora di amore.

 

David Bowie – Space oddity

 

 

Il 20 luglio del 1969 l’Apollo 11 arriva sulla luna; nelle prime ore di giorno 21 Neil Armstrong pronuncia la famosa frase sul piccolo passo per l’uomo eccetera. Il primo contatto effettivo, però, è di una decina di giorni prima, diciamo dell’11 luglio 1969, quando venne pubblicata la prima versione di Space Oddity, singolo estratto dal primo disco ufficiale di David Bowie. Esatto, avete capito bene: pochi giorni fa il brano più bello che sia mai stato scritto su questo pianeta ha compiuto cinquant’anni, e nonostante il successo lo abbia raggiunto nella riedizione del 1973, ancor più stralunata e estraniante, sarebbe criminale non ritenere la versione del 1969 come un grande turning point per la musica, come il momento in cui gli anni ‘60 ci salutavano per dar spazio a qualcosa di inesplorato—come gli anni ‘70 o, forse, come la luna, il motore immobile delle nostre esistenze.

 

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