MESSINA. Centodieci cittadini hanno deciso di riaprire al traffico Piazza Cairoli, riconsegnando uno dei luoghi simbolo di Messina all’eterna dittatura delle macchine e delle putie, riaffermando una inspiegabile e mortificante fierezza nell’andare sempre in direzione ostinata e contraria a quella del progresso e della civiltà.

Un salto indietro negli anni ‘70, quando il salotto buono della città erano quattro corsie separate da un palo della luce, in cui il concetto di socializzazione e di “vivere la città” erano tanti Lillo Sciobbavigna che facevano le “vasche” andando da un lato all’altro del viale San Martino. Rigorosamente in auto.

Per la maggior parte dei commercianti di tutta la zona (fra i firmatari ci sono anche esercenti della via Tommaso Cannizzaro e della parte bassa del Viale) il modello di città è rimasto esattamente quello di quarant’anni fa, in barba a un mondo che corre veloce e ci fa “ciao ciao” con la manina.

Perché al di là dello Stretto e dei confini limitati che ci siamo imposti, chiusi tra Ponte Gallo e Giampilieri, il mondo intero ha scelto un’altra visione di futuro e di civiltà che evidentemente a queste latitudini abbiamo deciso deliberatamente di ignorare perché noi “ce la sappiamo”.

Del resto non è necessario nemmeno spostarsi di molto. A Palermo hanno chiuso Via Maqueda, a Reggio hanno un lungomare che ci sogniamo la notte e a Catania hanno transennato da tempo via Etnea, la strada principale, quella che taglia in due la città: e non solo le lamentele non hanno mai raggiunto gli apici di vittimismo da salmodiare da muezzin che ci sono stati a Messina, ma se per caso qualcuno si azzardasse a richiederne l’apertura sarebbe giustamente preso “a fischi e piriti“, come diceva Shakespeare.

Eppure i più scaltri siamo noi, convinti che la crisi del commercio (perché di scelta dei commercianti si è trattato, come se una piazza possa essere di solo interesse per chi vende, e non anche per chi magari vuole viverla senza inquinamento acustico e ambientale) sia dovuta alla barbarica prassi di camminare a piedi e di posteggiare 100 metri lontano dai negozi, e che la soluzione sia invece una bella doppiafila a spina di pesce a pochi passi dal bancone del bar e del caffè fumante, senza che ci sfiori minimamente il pensiero che a influire sui mancati introiti sia magari quella strana cosa chiamata congiuntura economica mondiale (alla quale si tenta di far fronte facendo finta che internet non esista…) o la disastrosa qualità dell’offerta (e infatti basterebbe farsi un giro su TripAdvisor per capire cosa pensano i consumatori, e trarre le necessarie conclusioni sui veri motivi della crisi).

A questo punto, preso atto della decisione della Giunta, che ha dato il suo ok alla riapertura “sperimentale” della Piazza (come se sentissimo la nostalgia di decenni e decenni di doppie file e sinfonie di clacson), ci piacerebbe sapere che idea di città abbia in mente  questa Amministrazione:

La giostrina da luna park sì, l’isola pedonale no.

Ok al decoro, ma anche al venditore di calia piazzato per settimane a due passi dal Duomo.

Acceleratore sullo sviluppo della mobilità sostenibile, ma guerra senza quartiere (a volte sì e a volte no) al tram.

Fuoriuscita immediata dal circuito internazionale di Taormina Arte da una parte, la sfilata degli zampognari a paro per le vie del centro dall’altro, con lo sviluppo culturale e commerciale della città affidato a un tanto reclamizzato “Brand Messina” che tuttavia ancora non esiste.

A dare una risposta a questi interrogativi,  e a decidere che tipo di progresso si merita Messina, saranno adesso i 32 consiglieri chiamati lo scorso giugno a rappresentare le istanze di tutti  i cittadini: una scelta che potrebbe dare un ulteriore strappo al già precario rapporto con la Giunta, ma dalla quale si capirà, almeno in parte, che tipo di futuro attende al varco la città da qui al 2023.

 

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