Qualche anno fa ho pubblicato su una rivista on line un piccolo saggio relativo alla pratica dell’incubatio, già adottata da Greci e Romani, consistente nel porsi a dormire in un luogo sacro, stando più possibile vicini all’effigie del Nume (ad sanctos, apud ecclesiam) al fine di ottenere da lui, durante il sonno, la guarigione dai propri mali. Nel breve scritto, attingendo a dati raccolti durante indagini sul campo condotte presso i più arcaici luoghi di culto meridionali, riscontravo come tale pratica continuasse a persistere nelle ritualità festive popolari mantenendo ampi margini di vitalità (per chi fosse interessato, ecco qui di seguito il link).

Non cito tale dato per mero sfoggio di erudizione o vanità, ma per avviare una riflessione su come, a ben vedere, tale pratica caratterizzi oggi – a un livello diverso – il comportamento di molti italiani rispetto a quanto accade nella vita sociale e politica, alla somma di eventi di fronte ai quali l’atteggiamento di essi non appare dissimile da quello adottato dai nostri progenitori in civiltà.

La società attuale è infatti caratterizzata, a livello tanto nazionale quanto planetario, da una cruciale insicurezza di fondo. Laddove mezzo secolo fa i sentimenti che animavano le comunità nel loro complesso erano ispirati alla speranza di migliorare le proprie condizoni, accompagnata dalla volontà di lavorare, investendo forze fisiche e mentali (oserei dire anche spirituali) nel coltivare sogni e utopie per un mondo migliore, a me pare che oggi gran parte delle persone preferisca vivere alla giornata, coltivando come che sia il proprio piccolo o grande orticello, sempre in ogni caso rimanendo “tristi”, soffocati da una cappa plumbea fatta di paura, diffidenza, pessimismo, in qualche caso anche di cinismo e ferocia. Se ci poniamo a riflettere su cosa distingua il nostro presente dal passato, ciò che pare emergere è il progressivo dissolvimento di una società civile degna di questo nome. Più che non esistere, essa si compone e ricompone periodicamente in concomitanza di eventi che giungono a scuotere le coscienze e creare indignazione, per poi però ripiombare in un triste letargo appena le dure necessità quotidiane prendano il sopravvento.

Le cause di tutto ciò sono certamente da ascrivere in larga misura alla brutta piega che hanno preso le storie del mondo, le cui traiettorie si declinano ormai sotto il segno dei sovranismi, delle intolleranze verso qualunque forma di diversità, nella progressiva rarefazione di qualunque valore che non sia ispirato alla ricerca o al mantenimento del successo economico e/o del potere, sia esso esercitato ai massimi livelli, quello dei potenti della terra, sia ai livelli più miserabili, dai cattivi politici ai cattivi burocrati ai cattivi detentori di una qualsivoglia carica.

Tale situazione ha creato per un verso l’insorgere di una sfiducia radicale in quanti (e sono tanti) non ritengono che la situazione possa mutare, e sono quelli che, ad esempio, hanno deciso di non esercitare più il proprio diritto di voto; per altro verso, la creazione di un ottuso affidamento agli imbonitori di turno, gli ilari governanti che periodicamente si affacciano sul palcoscenico della politica promettendo ai loro seguaci magnifiche sorti e progressive a patto che essi rinuncino alla proprie capacità di giudizio abdicando a ogni facoltà critica e facendosi ammaliare dalle false narrazioni sulla realtà che vengono loro quotidianamente ammannite.

Proprio tale abbandono acritico alle narrazioni (qui da noi si direbbe un’attitudine di ’mmuccalapùni) mi pare costituisca una moderna tipologia di incubatio. Molte persone, non riuscendo più a sognare “in proprio”, si abbandonano a un quotidiano sonno della ragione confidando che in tale condizione sognante non più un dio terapeuta ma l’imbonitore di turno provveda a risolvere tutti i mali, le delusioni, le frustrazioni che costellano la propria esistenza. Molti italiani si pongono ormai a “dormire” sperando che un dio “politico” li guarisca in sonno dal malessere che abita le proprie giornate.

Provo a fornire qualche esempio, nazionale e locale. Da due anni dura la guerra russo-ucraina, e da due anni chi ci governa (ma anche qualcuno che non ci governa, e anche gran parte di coloro che siedono a Bruxelles e a Strasburgo) ha adottato la narrazione che di fronte a un attacco come quello sferrato da Putin (altro imbonitore, ad altri livelli) la risposta non potesse che essere: resistere resistere resistere, e mandare armi a tinchitè. Il prodotto di tale narrazione, che per principio ha escluso sin dall’inizio qualunque ipotesi diplomatica, è la tabula rasa che nel giro di due anni la povera Ucraina è diventata, senza che mai sia balenata l’idea che il conflitto avrebbe potuto spegnersi già nelle prime settimane se gli Usa, che amano sempre far le guerre per procura e sempre lontane dagli Usa, non avessero gettato benzina sul fuoco e se l’Unione Europea, oggi più che mai degli Usa succube, non si fosse passivamente accodata ai diktat provenienti da oltreoceano. Per non parlare dei mercanti di armi, proliferanti da noi come altrove, che sulle rivendicazioni di terre e sui conflitti etnici e religiosi vanno a nozze…

Altro esempio extraeuropeo. A un orrido attacco terroristico il boss che governa Israele decide di rispondere non già valutando strategie volte a prosciugare l’acqua nella quale il terrorismo nuota e prolifica, ma inaugurando una guerra vera e propria trasformatasi in pochi mesi in assurdo e crudele genocidio, foriero di odio e terrorismi destinati a dispiegarsi per almeno due delle prossime generazioni. Anche qui la narrazione di America, Europa e Italietta è stata quella del ritornello ripetuto come un mantra, quello dell’aggressore e dell’aggredito, mettendo la testa sotto la sabbia per non scavare un po’ nella storia di entrambi e scorgere le zone di grigio sottostanti gli orrori del presente.

Andiamo alle cose nostre. C’è un ministro, quello che qualche tempo fa rivendicava pieni poteri per rimettere in riga il Paese e che adesso dal suo trentatré per cento di populismo è crollato a percentuali a una sola cifra.  Costui – da buon pugile suonato quale teme essersi ridotto – decide di puntare ogni sua risorsa fisica e intellettuale (piccole cose comunque) su un progetto da lui medesimo fino a qualche anno fa aborrito. Per ottenere consenso occorreva pertanto una nuova narrazione, quella che vede nel progetto stesso (la costruzione di un orrido ponte su uno Stretto meraviglioso) il veicolo di una miracolosa rigenerazione socio-economica, tecnologica, culturale (fors’anche affaristica…) dell’intero Paese.

E qui, come nei casi precedenti, scatta l’incubatio! Sono in tanti a cadere nel sonno della ragione, nella speranza che il sonno produca il miracolo. A nulla valgono le riflessioni, i dossier, le perplessità di quanti scorgono in tale avventura nient’altro che uno specchietto per allodole che nasconde esborsi pubblici da capogiro, devastazioni radicali di territori e di comunità, sottrazione di risorse alle reali necessità dei luoghi, crollo definitivo per almeno una generazione di una qualità di vita già ai minimi storici. A nulla valgono, in quanto un terzo degli italiani, dei siciliani, dei calabresi, immersi nella loro incubatio, credono che nel sonno possa avvenire il miracolo. Ma, Goya ce lo ricordava mirabilmente nella sua acquaforte, el sueño de la razón produce monstruos, non è certo abbandonandosi e prestando fede alle false narrazioni che si raggiungono livelli accettabili di esistenza.

Ai poveri contadini, alle povere contadine del nostro Sud la pratica arcaica di dormire distesi per terra in chiesa sperando nell’intervento numinoso giovava almeno a far sopportare loro un’esistenza precaria e subalterna. Ai “sognatori” del nostro presente, che potremmo anche – sicilianamente – definire scecchi nto’ linzòlu, neanche tale consolazione rimane, comportando il sonno nel quale si sono volontariamente immersi un futuro non invidiabile per i loro (e, ahimé, anche nostri) figli e nipoti.

 

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