PALERMO. Perché l’aumento dei casi in Sicilia non è stato vertiginoso come in altre Regioni d’Italia? Cosa ha contribuito a contenere il dilagare dell’epidemia? Perchè la Sicilia è stata virtuosa (la seconda regione italiana col minor numero di contagi in rapporto alla popolazione) laddove altri territori hanno fallito nel controllo dei contagi?

A rispondere sono stati Livia Maria Amato, Stefania Candiloro e Claudio Costantino, in rappresentanza della Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva dell’Università di Palermo e del Laboratorio di Riferimento Regionale per la diagnostica molecolare del SARS-CoV-2, nel report dal titolo piuttosto esplicativo di “Coronavirus in Sicilia, come hanno funzionato (e BENE) le misure di contenimento”.

“Un ruolo determinante è stata probabilmente la precocità negli interventi di contenimento, distanziamento fisico e delle misure di “lockdown” volute dal Governo Regionale”, spiegano i tre studiosi. Perchè? L’11 Marzo 2020, mentre l’OMS dichiarava lo stato di Pandemia e in Italia entrava in vigore il DPCM che estendeva le misure di contenimento a tutto il territorio Nazionale, la diffusione del SARS-CoV-2 in Sicilia era ancora contenuta: “ciò ha permesso di confinare precocemente i focolai e un più efficace controllo nella gestione dell’epidemia risparmiandoci gli scenari drammatici che si sono verificati nelle Regioni del Nord Italia. Un vantaggio temporale non indifferente che ci ha permesso di riconvertire per tempo interi reparti all’assistenza dei soggetti COVID+ e di non sovraccaricare le terapie intensive che hanno potuto continuare a prendersi cura di altri pazienti”, spiegano.

Ma c’è stato un momento in cui il dramma è stato davvero dietro l’angolo: “Nonostante la precocità degli interventi siciliani i laboratori reclutati per l’analisi dei tamponi oro-faringei hanno attraversato momenti vicini al collasso – rivelano – Ad oggi, grazie all’estensione della rete di Laboratori a livello Regionale e grazie all’inizio della sorveglianza sierologica non si assiste più anche nei grandi Comuni e Province Siciliani a ritardi nella catena di richiesta, prelievo e analisi dei campioni che in certi momenti, a causa di una domanda a volte nettamente superiore rispetto alle risorse disponibili, erano stati consistenti”.

Un’ampia sezione dello studio è dedicata all’impatto che hanno avuto le misure di contenimento della prossimità sociale sulla propagazione dei contagi, scandite attrraverso i provvedimenti adottati dal Governo con i decreti del presidente del consiglio Giuseppe Conte, e dalla Regione Siciliana con le ordinanze del presidente Nello Musumeci. Gli effetti della riduzione del numero di contagi possono essere apprezzati soltanto dopo circa 15 giorni dalla introduzione delle misure.

 

Ad essere preso in esame è stato il parametro relativo al tasso di riproduzione basale di una patologia (R0), quello maggiormente indicativo dell’andamento di una epidemia: da un valore di 2,3 il 29 Febbraio a quello di 1,1 il 29 Marzo. Cosa vuol dire, in soldoni? Che, in Sicilia, prima che iniziassero le restrizioni, un paziente infetto contagiava quasi due persone e mezzo. Un mese dopo, con le restrizioni in atto, il tasso si era ridotto drasticamente, e un infetto contagiava praticamente solo una persona. Oggi, a quasi due mesi dall’inizio dell’aumento consistente dei contagi in Sicilia, il parametro R0 è tra i più bassi in Italia, attestandosi tra 0,5 e 0,7. “Questo è un dato rassicurante poiché sta ad indicare che una persona infetta ha la probabilità di contagiare una sola altra persona ed anche meno grazie soprattutto alle ulteriori misure di distanziamento ed isolamento dei positivi (Covid Hospital e Covid Hotel per gli asintomatici in ogni Provincia Siciliana)”, spiegano i tre autori dello studio.

Tutto bene quindi? No. Perchè i contagi non sono ancora a zero, e in giro ci sono ancora focolai d’infezione, che tra l’altro non vengono scoperti in tempo reale, considerando che la durata del periodo di incubazione medio del coronavirus è di 5,6 giorni (con un range che va da 1 a 21 giorni). “I nuovi positivi in Sicilia dal 13 Aprile si attestano su un tasso di incremento giornaliero all’incirca costante e sono per lo più collegati a focolai familiari (da soggetti COVID+ perché rientrati dalle Regioni del Nord o infettatisi in Sicilia) e assistenziali (RSA di Villafrati, RSA di Caltagirone, Oasi di Troina tra i più noti con i relativi casi “secondari” spesso a livello intrafamiliare degli operatori sanitari stessi)”, conferma lo studio.

 

Un dato positivo è la costante diminuzione nelle ultime dei pazienti gravi ricoverati in terapia intensiva (curva arancione), e dei pazienti ricoverati in reparto (curva blu scuro) e contestualmente un aumento dei guariti (curva gialla). “Questa condizione è ascrivibile a tutto il territorio Regionale e ha decisamente allentato la pressione sul sistema sanitario Regionale”, commentano gli studiosi.

“Pensare ad un allentamento delle misure? Si, ma con cautela”, è la conclusione dello studio. Che raccomanda estrema prudenza nella fase 2. “Nonostante sia forte il desiderio generale che questa Pandemia sia un lontano ricordo è opportuno un ritorno progressivo alla quotidianità nel rispetto del distanziamento sociale, che ci accompagnerà fino all’immissione in commercio di un nuovo vaccino. È opportuno fare tesoro anche dell’esperienza di altri stati come il Giappone, dove appena pochi giorni dopo la fine del lockdown a Wuhan e nell’Hubei è stato necessario inasprire nuovamente le misure di contenimento. In Sicilia i dati sono a nostro favore ma dobbiamo essere in grado di non perdere questo vantaggio ottenuto nei confronti di un nemico che non è ancora del tutto sconfitto“.

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