L’aeroporto “Fata Morgana”, crocevia del Mediterraneo

 

“Giovanni. Forse si chiamava Giovanni. O forse Giuseppe. Sì, ecco, probabilmente si chiamava Giuseppe”. 

I ricordi di Agnese sono un po’ confusi. A una certa età – 82 a marzo – è pure normale. È la mente che si comporta come un imbuto, filtrando la memoria, eliminando le scorie. Per cercare di tenere sempre “presenti” le cose che non vanno scordate. Quelle davvero importanti. Quelle importanti sul serio.

E se il nome del ragazzo non riesce a ricordarlo, il suo viso invece lo ricorda perfettamente, nei minimi dettagli: i suoi occhi scuri, gli zigomi pronunciati, i capelli corti costantemente bagnati, quel suo strano modo di ridere corrucciando la fronte.  

Quando lo conobbe aveva appena 16 o 17 anni. A Salina, durante l’ultima vacanza con i suoi. 

Un amore estivo reso impossibile dalle distanze. Una breve avventura adolescenziale che fa da prologo alla vita. Poi l’università, il lavoro, il matrimonio, i figli, la morte del marito, la paura di morire. E quella voglia improvvisa e senile di tornare a rivedere quei luoghi così belli e selvaggi, così diversi dalla sua triste Trieste. 

Quando le vede dall’alto, Agnese le riconosce tutte. Filicudi, Stromboli, Lipari, Vulcano, Salina. Piccole chiazze verdi che fanno capolino dal Tirreno mentre l’aereo scende in picchiata verso Milazzo. Verso l’amata Sicilia. 

Sono le 5 del pomeriggio e da quando è partita da casa sono trascorse appena un paio d’ore. Il tempo di un cinema, di una messa in piega dal parrucchiere. 

In fin dei conti – riflette, osservando il Fata Morgana che appare dall’oblò – il suo passato non era poi così tanto lontano. 

In fondo era semplice. In fondo, forse, avrebbe dovuto farlo prima. 

 

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