MESSINA. Vie di mezzo non ce ne sono mai state. O gru ogni cento metri oppure stop assoluto alle cazzuole. La zona nord di Messina, dalla litoranea a Mortelle, dal mare alle colline, è stata per anni al centro degli appetiti di palazzinari di ogni specie, sottoposta ad un carico edificatorio talmente enorme che, sotto la minaccia di apertura di una procedura di infrazione da parte dell’Unione europea, che sarebbe costata alle tasche di Palazzo Zanca centomila euro al giorno di multa, si è invertita la direzione a 180 gradi, sprofondando nell’eccesso opposto: basta cemento. Anzi, basta “nuovo cemento”.
Tutto nasce da un’interpretazione “conservativa” dei vincoli al Piano di Gestione Monti Peloritani del 2015, in cui rapportando le superfici dei progetti autorizzati con la distribuzione della superfici delle aree vincolate presenti nel territorio comunale, è risultata una percentuale di consumo di suolo pari allo 0,234% notevolmente inferiore a quello dell’1% riportato nelle guide metodologiche della Commissione europea come soglia di non significatività dell’incidenza.
Senonchè, quando lo stesso calcolo si “scala” nei diciotto siti in cui è diviso il territorio comunale, come previsto dai progettisti dell’attuale Piano regolatore, nel sito “Q”, che da Mortelle arriva a Paradiso, la percentuale di territorio edificato sale a 1,30% (con un picco da 2,62% nell’habitat prioritario 6220), sforando il quoziente di non significatività dell’incidenza.
Questo, se da un lato va nella direzione che sta prendendo la politica urbanistica nazionale, con un disegno di legge in discussione verso il consumo di suolo zero, dall’altro complica le cose, perché il 40% dei progetti all’esame della commissione comunale alle valutazioni d’incidenza rientra in quella porzione di territorio della zona Q.
E quindi, dal 2015 nell'”area Q” non si costruisce più. Più o meno.
In realtà, le cose non stanno esattamente così, perchè si potrà costruire, ma a “utilizzo zero”: quello che non sarà più possibile fare è consumare nuovo suolo. Si tira su l’equivalente di quanto si è buttato giù, quindi si potrà ricostruire la volumetria equivalente di un altro edificio che si è demolito. Con qualche eccezione, possibile fino a ieri, e che oggi è stata sottoposta ad un ulteriore “giro di vite”.
Cosa si possa fare, e come lo si possa fare, in “area Q”, lo spiega Enzo Schiera, dirigente all’Urbanistica del Comune di Messina: la “compensazione ecologica preventiva“, per esempio. “Viene compensata l’area che andrà occupata dalla volumetria aggiuntiva mediante rinaturalizzazione di un’altra area già occupata da volumetria in posizione limitrofa (sempre della stessa proprietà). In questo caso, l’area “gemellata” o “adottata” verrà spogliata dell’indice di fabbricabilità tramite trascrizione notarlile nei registri immobiliari”: ogni volume aggiuntivo andrà sottratto da altro volume edificabile, in pratica. Ogni compensazione deve riguardare l’area stessa, o un’area limitrofa (che perderà l’edificabilità) ma ricadente nella proprietà di chi intende avvalersene.
Ovviamente, l’inedificabilità di fatto della “zona Q” ha sollevato parecchie critiche: l’ultima delle quali è arrivata dal consigliere comunale di Felice per Messina Giuseppe Santalco, secondo il quale, in una nota scritta ad inizio agosto, “l’Amministrazione ha deciso “motu proprio” di azzerare la cubatura edificatoria dell’intera area nord”, mentre ad ottobre 2015, in un’infuocata IV commissione consiliare, ad attaccare la decisione erano stati il presidente dell’ordine degli architetti Giovanni Lazzari ed il consigliere dell’ordine degli ingegneri Francesco Triolo.
Sempre nel 2015, fu stilato un documento con una ventina di sigle (ordini di architetti, agronomi e forestali, geologi di Sicilia, collegio di agrotecnici di Messina – Enna, dei geometri e dei periti industriali, Confindustria, Ance, Cgil, Cisl, Uil, persino Legambiente dei Peloritani) sullo stesso, allarmato, tenore.