Branches

Era il lontano 1996 quando quattro ragazzi messinesi con la passione per la musica dark, Enrico Russo (voce e chitarra), Giovanni Scuderi (basso), Francesco Forestiere (tastiere e sinth), e Giampiero De Francesco (drum, drum machine) decisero finalmente quale sarebbe stato il nome definitivo della loro band dopo anni di indecisioni e cambiamenti. Dovette trascorrere ancora una decade, tra periodi intensi di prove, concerti, demo e pause di riflessione, prima di incidere il loro primo lavoro autoprodotto: Distance.  Composto da dieci pezzi più una traccia nascosta, l’album rimanda al filone più cupo della new wave anni ’80 ed è una vera e propria dichiarazione d’amore al sound gelido e crepuscolare dei Joy Division e dei Bauhaus, dei Cure prima maniera e dei Dead Can Dance. Il disco, caratterizzato da sonorità decadenti e ninne nanne,  sezioni ritmiche squadrate e chitarre taglienti come rasoi , diviene in breve tempo un piccolo oggetto di culto, lasciando presagire una carriera piena di successi. Invece no. Da quel momento i Branches spariscono, evaporano, fanno perdere le loro tracce per quasi dieci anni, fin quando – è il 24 gennaio del 2005 – tornano a esibirsi dal vivo sul palco del Retronouveau per presentare il loro secondo lavoro,  Old Forgotten Places, a cui segue a giugno del 2006 il nuovo singoloSlow rain of dust”.

Il disco: Old Forgotten Places (2015)

Otto tracce e 30 minuti di pura New Wave, fra dark, elettronica e un sound dannatamente eighties.  Il nuovo album dei Branches, registrato al Dalek Studio sotto la supervisione di Claudio La Rosa, prosegue sulla stessa falsariga del precedente Distance, del quale richiama le atmosfere cupe ed eteree, differenziandosi per un maggiore uso dell’elettronica e della drum machine. Fra i brani, le tiratissime “Wake” e “All That Is Left”, la lenta e ipnotica  “The Lonely March” e la conclusiva “On an ice plate”.

 

Il brano: Show me your face




 

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