Voluta da Cuffaro e pubblicata da Fmr, nel 2006 apparve l’Enciclopedia della Sicilia che conteneva tutto l’ieri e l’oggi. Degli uomini solo gli illustri, purché sicuramente morti.

Giulio Andreotti raccontava Salvo Lima. Era lucidamente stringato, a suo modo essenziale. Era una lettura per una storia da scriversi in maniera definitiva, il resto sarebbe rimasto un gran vociare. E a rileggere quelle 27-28 righe si resta basiti, perché nella imprescindibilità del dover comunque governare qui esce allo scoperto per intero uno statista, sostanziato dalle motivazioni culturali dei “moralisti classici”. Il Nostro riduce l’orrore palermitano – degli anni di Gioia, Ciancimino, Lima, D’Acquisto e dei loro associati o sherpa- a semplice “concorrenza elettorale per le preferenze”, dovuto “a un non sempre brillante pluralismo correntizio”. Poi enumera il cursus honoris del suo uomo: sindaco, deputato, sottosegretario, parlamentare europeo. Nel governo si occupa di Finanze, Bilancio e Programmazione!  Non con la consueta sagace e cinica ironia scrive Andreotti scrive, qui minimizza, edulcora con la reticenza di chi deve dimenticare una storia che ormai appartiene al mondo. Dimentica che a Strasburgo, pur con “notevole successo” elettorale Lima è costretto a imboscarsi per incompatibilità ambientale. Ma non sarà spazzatura nascosta sotto il tappeto. Andreotti, gli andreottiani, maggioranza in Sicilia, non lo considereranno mai tale.

Ma dove in questo epitaffio Andreotti dà il meglio di sé è quando spiega, una volta per tutte, la “verità” sulla morte, “per mano mafiosa”, del delfino. Ecco: “ Le cronache vollero vedere in questo la punizione per presunti non ulteriori appoggi, o più esattamente, per non avere impedito le durissime leggi contro la mafia decise dal governo Andreotti”.

E allora: si ipotizzano finalmente reazioni mafiose… solo presunte però. Come se Andreotti avesse dimenticato il suo processo, gli altri processi. Come se quello che si dibatte in processo è come se non ci fosse. Come se i dibattiti processuali non fossero istantanee di risposte che ci restituiscono, come scrive Silvio Lanaro, “il senso di un ambiente, di un clima, di un conflitto sociale e culturale di lunga durata che oltrepassa i confini della testimonianza”.

Gli atti dei processi sono tutti disponibili. E allora, come definire “presunti appoggi”  quella che è matura appartenenza, intelaiatura di relazioni, connivenze, identificazioni che vengono declinati, con riferimenti puntuali a fatti e persone. E che poi in larga misura diventeranno sentenze. Anche quella del processo Andreotti, con colpevolezza temporalmente definita, ma comunque sentenza di colpevolezza anche se prescritta. Il processo Andreotti riprende comunque i fatti in tutte le loro significatività e valenze.

Nel 1983, nel congresso di Agrigento dove Lima è costretto ad atti di lesa maestà nei confronto della mafia sua e di Ciancimino, si esprime la consapevolezza che nella sostanza eravamo stati noi (Palermo, gli intrecci catanesi, la riluttanza di Andreotti nel concedere poteri al neoprefetto Dalla Chiesa) ad uccidere Dalla Chiesa. E l’elezione del segretario matura su una piattaforma che rifiuta, per la prima volta nella storia di Sicilia, gli apporti mafiosi e punta alla ridefinizione dei processi in nome di una ‘meritorietà del consenso’.

Al processo Andreotti queste cose vennero tutte rilette. Dire allora che gli ulteriori apporti mafiosi fossero, per Lima e gli andreottiani, solo presunti, è come opacizzare quello che nei processi invece appare come ragion d’essere fondativa.

Andreotti aggiunge che sono le durissime leggi antimafia che uccidono Lima. Ci sono, certo. Le vuole Falcone. Soprattutto la rotazione nelle cariche, che mette all’angolo Carnevale. Per Martelli, dopo le compromissioni palermitane, Falcone a Roma dopo la cacciata palermitana è come una “indulgenza plenaria”. Vitalone capisce e asseconda. Andreotti nel rischio del tirare le cuoia decide, per una volta, al meglio. Il Quirinale val bene una “messa in croce” di Lima. Come nelle antiche prassi clericali lo affiderà al braccio secolare. Poi morirà Nino Scopelliti, prima vittima del dopo-Carnevale; poi i ruoli di eccezionale rilevanza storica di Falcone e di Borsellino saranno ferocemente puniti.

Allora la cultura dell’andreottismo anche senza Andreotti suggerirà trattative. Se ne parlerà a lungo, forse con lo stesso cinismo, certamente con mediocri protagonisti. La banalità del male, appunto.

 

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