MESSINA. Nonostante sia un diritto garantito dalla legge, a Messina l’interruzione di gravidanza volontaria (Igv) è stata sempre storicamente difficilissima: alla quasi totalità di obiettori di coscienza tra i ginecologi in servizio nelle strutture pubbliche (nel 2021, chi praticava l’aborto era solo un medico su 53), si aggiungeva anche il passaggio un colloquio dalle modalità non chiare. Almeno fino a qualche giorno fa.

A nessuna persona priva di autorizzazioni sarà più consentito interferire con la libera scelta delle donne. Ad assicurarlo è il direttore sanitario del Policlinico di Messina, Giuseppe Murolo, dopo il caso sollevato dalle attiviste del collettivo “Non una di meno Messina”, che nelle scorse settimane avevano denunciato la presenza, all’interno dell’ambulatorio ginecologico dell’ospedale, di un esponente di un “centro di aiuto alla vita”, il quale si occupava di fare colloqui pre Ivg con le donne che avevano scelto di interrompere la gravidanza, “colpevolizzando la scelta di abortire”, secondo le attiviste.

«Il problema non c’è più. Quando è uscita la notizia mi sono attivato immediatamente e la questione è stata risolta», spiega Murolo. «Inoltre – prosegue – faremo in modo di garantire la massima trasparenza, rendendo esplicito, con procedura aziendale, anche il meccanismo di presa in carico della donna. Nessun soggetto potrà operare o essere inserito in percorsi assistenziali se non è autorizzato e sarà rigorosamente applicata la vigilanza», ribadisce il direttore sanitario, che spiega come alla persona coinvolta, l’architetto Livio Lucà Trombetta, presidente del “Centro di aiuto alla vita”, sia stato precluso l’accesso, smentendo inoltre qualsiasi tipo di convenzione fra il Policlinico e associazioni esterne sul tema aborto. 

Alla direzione del Policlinico si erano rivolte qualche mese fa anche le attiviste di Non Una di Meno, che avevano presentato un reclamo formale, chiedendo spiegazioni sulle dinamiche del colloquio, sui rapporti in essere fra la struttura ospedaliera e l’associazione, e sul perché (e a che titolo) un appartenente alla stessa associazione, non iscritto per di più all’albo degli psicologi, fosse autorizzato a contattare le pazienti.

LA DENUNCIA. I fatti, in base alla testimonianza delle attiviste di Nudm, sono avvenuti lo scorso 13 giugno, quando le volontarie dell’associazione hanno accompagnato al Policlinico una donna straniera che si era già sottoposta alla visita medica e al consulto informativo-psicologico presso un consultorio.

«In quell’occasione – spiegano dal collettivo – abbiamo appurato che tutte le pazienti in attesa di interruzione volontaria di gravidanza vengono chiamate tramite il loro numero di prenotazione da una persona per effettuare con lo stesso un colloquio psicologico preventivo all’IVG. (…) In tale occasione questa persona ha cercato in tutti i modi di dissuadere la signora dall’interruzione di gravidanza, banalizzando e minimizzando quanto raccontatogli dalla donna e pronunciando frasi quali “sento i tuoi bambini, so che vogliono abbracciare la loro mamma” o “non uccidere i tuoi bambini”. Al termine dell’incontro, preoccupate per i modi utilizzati, abbiamo effettuato delle ricerche e abbiamo accertato che la persona in questione non è uno psicologo, ma un ingegnere e architetto, membro dell’associazione “Centro aiuto alla vita di Messina”». Circostanza che, secondo le attiviste, si è ripetuta almeno altre due volte (29 giugno e 18 luglio), sebbene le persone coinvolte, spiegano, fossero già in possesso del certificato attestante l’intenzione di abortire.

In base a quanto previsto dalla Legge 194 del 1978, una donna incinta che intende avvalersi dell’interruzione volontaria di gravidanza deve rivolgersi preventivamente a un consultorio o al proprio medico, il quale, in base all’articolo 5, “può eseguire una visita e/o ecografia di controllo, valutare il test di gravidanza, e proporre altre possibili soluzioni all’aborto. Al termine del colloquio il medico rilascia un certificato che permette di accedere all’ospedale per prenotare l’intervento. La legge prevede un periodo di riflessione di 7 giorni. Qualora il medico riscontri un’urgenza potrà evitare la riflessione di 7 giorni rilasciando un certificato con la dizione urgente”. Nessun altro colloquio è obbligatorio per legge.

I CENTRI AIUTO ALLA VITA. I Centri di Aiuto alla Vita (CAV), circa 350 in tutta Italia, costituiscono le sedi operative del Movimento Per la Vita, fondato nel 1975 “per tendere una mano alle donne nel delicato momento della gravidanza”. Due le realtà presenti a Messina: il Centro Polifunzionale per la Famiglia Vittoria Quarenghi, diretto da Irene Barbaro, e il Centro di Aiuto alla Vita, il cui presidente è Livio Lucà Trombetta.

 

 

La prima è una onlus cattolica, attiva da 35 anni, che si occupa di “servizi polifunzionali per la famiglia”, con varie collaborazioni con istituti scolastici, enti pubblici e realtà sanitarie. L’associazione, in base a quanto riportato sul proprio sito online, ha due sedi, una in via Fossata e l’altra in un padiglione del Policlinico, inaugurata il 7 settembre del 2013. «Noi non c’entriamo niente, come ho avuto già modo di specificare a chi mi ha contattata dall’azienda ospedaliera», spiega Irene Barbaro. «Siamo assolutamente contrari agli estremismi e ai modi di agire eccessivi. Ci sono dei limiti entro i quali non si può andare. Le donne devono essere libere di scegliere e non siamo noi che giudichiamo chi vuole abortire e chi no. Il nostro compito è semplicemente quello di informare, poi ognuno è libero di fare della propria vita quello che vuole», spiega. «È una realtà che si occupa di dare supporto psicopedagogico ai bambini, ai soggetti fragili e alle famiglie, ma non hanno nulla a che fare con Igv», spiegano dal Policlinico

Nessun’altra convenzione con i Centri per la Vita risulta essere stipulata, ribadiscono dall’azienda ospedaliera. Eppure c’è chi non solo ha avuto accesso (per decenni) alla struttura, sotto gli occhi di medici e infermieri, ma anche la possibilità di svolgere il colloquio con le donne all’interno del reparto. Con dinamiche non del tutto chiare.

A che titolo entrava? «A nessun titolo, è questo il problema. Di quello che succedeva nel passato non ho traccia né memoria storica, e bisognerebbe approfondire retrospettivamente su quello che succedeva. Quello che posso dire è che ad oggi il problema è stato risolto», spiega Murolo.

A raccontare la sua versione è anche il diretto interessato, Livio Lucà Trombetta, laureato in Ingegneria Civile e Architettura, con due master, uno in Bioetica e l’altro in Architettura di Chiese. Dal 1996 al 2006, in base a quanto riportato nel suo curriculum, è stato componente del Comitato etico del Policlinico.

«È stato montato un caso per motivi politici e sono state dette tante cose non vere. Io non mi sono mai finto un medico e il colloquio non è di tipo psicologico. Inoltre non ero in possesso dei dati sensibili delle donne. Noi – racconta –  facciamo questo servizio da 40 anni, dando supporto alle ragazze che vogliono essere aiutate, e in questo periodo abbiamo strappato all’aborto almeno 1200 persone. Se per 40 anni siamo stati là, e se i medici ci consentivano l’accesso, significa che avevamo un’autorizzazione: proprio adesso stavo cercando le carte. Risalgono a 30/35 anni fa ma le troverò. Al momento mi è stato precluso l’accesso, chiedendomi di presentare un progetto per fare tutto in regola. L’altro giorno, dopo il mio confronto con la dirigenza, c’erano tutte le infermiere in lacrime», sostiene, dicendo la sua anche sulla Legge 194: «Per me non dovrebbe esistere, ed è stata travisata per quanto riguarda le modalità del colloquio, in base agli articoli 1 e 2». Ma dove si svolgeva il colloquio? «A seconda della stanza che c’era libera», conclude.

 

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