MESSINA. Lo “stress da covid”, secondo la Cassazione, sarebbe l’attenuante per la morte di Lorena Quaranta, strangolata dal fidanzato Antonio De Pace il 31 marzo del 2020, durante la fase del primo lockdown. Il 14 luglio scorso, il ventinovenne  attualmente detenuto nella casa circondariale di Siracusa è stato condannato all’ergastolo, condanna che traballa da circa una settimana, quando la Cassazione ha chiesto ai giudici di secondo grado di rivedere la condanna di perché De Pace era «affetto da una temporanea infermità mentale dovuta allo stress e alla paura del virus, che rappresenterebbe un’attenuante»

«Deve stimarsi – si legge nelle motivazioni – che i giudici di merito non abbiano compiutamente verificato se, data la specificità del contesto, possa, ed in quale misura, ascriversi all’imputato di non avere “efficacemente tentato di contrastare” lo stato di angoscia del quale era preda e, parallelamente, se la fonte del disagio, evidentemente rappresentata dal sopraggiungere dell’emergenza pandemica con tutto ciò che essa ha determinato sulla vita di ciascuno e, quindi, anche dei protagonisti della vicenda, e, ancor più, la contingente difficoltà di porvi rimedio costituiscano fattori incidenti sulla misura della responsabilità penale».

Al culmine di una lite infatti Antonio De Pace colpì in testa la Lorena Quaranta per poi strangolarla e dopo un tentativo di suicidio chiamò i carabinieri confessando il delitto che sarebbe stato originato, secondo quanto riportato da Ansa, da un presunto “stato d’ansia” causato dalla pandemia. Ed è proprio questo l’aspetto attorno al quale ruota la decisione della Suprema Corte. Adesso il processo tornerà alla Corte d’Assise d’appello di Messina, dove la Procura generale aveva peraltro già sollecitato la concessione delle attenuanti generiche. «Il Covid non c’entra niente di niente- ha commentato Enzo Quaranta al Corriere della Sera- Questa della Cassazione che cerca attenuanti è davvero una “tinturia”, un modo per uccidere due volte mia figlia e salvare dall’ergastolo chi ha condannato noi a piangere a vita». 

A prendere parola sulla decisione personalità messinesi e nazionali come Non Una di Meno Messina: «Le nostre sorelle vengono assassinate nelle loro case, uno spazio intimo, che si dovrebbe sentire come sicuro sempre. La risposta dello Stato qual è? Occuparsi del possibile stress dei nostri carnefici? Se le nostre vite non valgono continueremo a lottare in ogni piazza e in ogni strada per il diritto ad esistere libere dalla violenza di genere»

«Per quanto io possa trovare giusti dei riesami che portino a una certezza della pena, ritengo comunque intollerabile continuare a considerare la violenza di genere come il frutto di un raptus emotivo e non come il fenomeno sociale che è, strutturale e sistemico, in quanto espressione di una profonda disparità a causa della società patriarcale ancora esistente -ha commentato Iacopo Melio, giornalista- Ecco perché ritenere lo stress del femminicida un’attenuante, qualunque sia la sua origine, rischia di creare un pericoloso precedente che ci farebbe fare passi indietro nella lotta alla violenza di genere»

«Non accettiamo che, dopo anni di lotta e sensibilizzazione culturale, si voglia rappresentare la violenza contro le donne ancora come improbabile raptus invece di volontà di sopraffazione e controllo. Su questo terreno non ammettiamo passi indietro» ha commentato sui social la Casa Internazionale delle Donne. 

 

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