MESSINA. “L’opera sarà ultimata in sette anni, il prossimo anno il progetto sarà definitivamente cantierabile e l’opera porterà circa quattromila unità lavorative a Messina”. Era il 2010, e l’allora sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca era fiducioso sulle sorti del ponte sullo Stretto: legge obiettivo che andava come un treno, progetto definitivo ad un passo dalla consegna, clima politico favorevole. Una cosa sola mancava. Chi mettesse i fondi per l’opera prevista in project financing, con maggioranza di capitali privati rispetto a quelli pubblici. Che già avevano subito una importante decurtazione con il disinteresse dell’Unione Europea, che ha considerato il ponte come opera non prioritaria, decidendo di non destinare fondi alla costruzione.

L’entusiasmo di Buzzanca, però, e la sua previsione di quattromila posti di lavoro, poteva essere giustificata dall’avvio della progettazione e di alcuni lavori propedeutici. Fino a quel momento, la Stretto di Messina aveva speso, dalla sua creazione, più o meno trecento milioni. Quanti euro, di questi, sono rimasti a Messina? Circa un millesimo, a spanne.

Perché di messinesi al lavoro sul ponte, a qualsiasi titolo, ce ne sono stati pochi, pochissimi, quasi zero: a lavorare sugli elaborati progettuali sono stati chiamati all’epoca due studi tecnici e due privati (tra Messina e Reggio), e solo sulle opere di contorno, e cioè interventi di rinforzo su strade secondarie esistenti, per collegamenti di cantiere, una pista di cantiere all’intersezione tra lo svincolo di San Filippo e la viabilità della statale 114, e studi sulle tre discariche degli inerti in contrada Serri, nella località Pozzicello, poi in contrada Bianchi, zona Marotta, e sulla collina che sta a cavallo tra Pace e Annunziata, in contrada Fosse e Canali: i siti denominati rispettivamente, SRA1, SRA2 ed SRA3. Costo totale delle parcelle? Trecentomila euro circa. Tanto per fare una comparazione, è quanto la Stretto di Messina ha speso, nel 2005, per fotocopie (75mila euro) e viaggi (280mila euro): sono cifre iscritte a bilancio.

 

 

Non ci saranno stati messinesi nella progettazione, ma nei lavori propedeutici, tipo i carotaggi? Anche lì, di messinesi a lavorare ce n’erano proprio pochini:  anzi nessuno. Di imprese locali non ce nʼè stata nemmeno lʼombra. A far buchi in giro per Messina, infatti, sono state chiamate da Eurolink imprese come la Vicenzetto di Padova e la Mori Foundation Technology di Campofilone, in provincia di Ascoli Piceno. A piazzare sonde nei buchi per conto del monitore ambientale Fenice Spa (capogruppo dellʼAti che comprende anche Agriconsulting, coop Nautilus, Gfk Eurisko e Theolab), è stata invece la Tecno In di Napoli.

Almeno sullʼanalisi dei campioni tirati fuori, Messina ha giocato un ruolo da protagonista? Picche, anche qui. Il dipartimento di ingegneria civile dellʼateneo messinese, che insieme a quelli di Palermo, Reggio Calabria ed Enna aveva dato vita al consorzio Cidis, avrebbe dovuto provvedere ad esaminare i materiali estratti dalle trivellazioni del suolo messinese, in virtù di una convenzione firmata con Stretto Spa ed Eurolink nella tarda primavera del 2010. Dopo qualche settimana, però, di “provini” da analizzare non ne arrivano più. La motivazione? La spiegò nel tardo 2010 Giovanni Falsone, all’epoca direttore del dipartimento di ingegneria civile dellʼuniversità di Messina: “Alla fine di luglio da Eurolink, nonostante la convenzione firmata poco prima, arriva lo stop. Con una motivazione risibile: e cioè che eravamo troppo lenti. Da quel giorno, da noi non è più arrivato alcun materiale da ‘provinare'”.

Che fine hanno fatto i provini? Emigrati. In un laboratorio del nord Italia, a Bergamo, e in un altro di Caltanissetta: la Sidercem, azienda di famiglia dellʼallora assessore regionale alle Attività produttive Marco Venturi.

Poi il progetto si è fermato. Non prima che, dati della Corte dei Conti alla mano, la Stretto di Messina Spa, concessionaria dell’opera, avesse speso trecento milioni di euro. Dei quali a Messina non sono rimasti che gli spiccioli.

 

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Vincenzo
Vincenzo
9 Maggio 2017 22:12

283 milioni per essere esatti. A Messina è rimasto il progetto DEFINITIVO di un’opera di alta ingegneria unica al mondo, tecnologia ingegneristica studiata in Italia e utilizzata in Ponti realizzati in altri Paesi.

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[…] In totale, quindi, tra i siti cittadini e quelli della riviera tirrenica si arriva quasi a sei milioni di metri cubi di terreni di riporto. E gli altri quattro milioni? Secondo quanto dice il progetto definitivo, saranno riutilizzati per la posa delle opere a terra. Le cave, una volta riempite con gli scavi del ponte, saranno destinate a verde pubblico, dice la relazione. Di quanta terra si tratta? Molta. Materialmente, per utilizzare un esempio più vicino, la frana che il primo ottobre 2008 travolge Giampilieri era di ottantamila metri cubi di detriti e fango. Come in ogni area collinare della città,… Leggi tutto »