La scorsa mattina mi sono svegliata e cavolo, avevo 39 e mezzo di febbre. Ok. Calma, è inverno ho pensato. D’ inverno fa freddo, d’ inverno basta una botta di freddo ed è subito influenza, e le tonsilliti dove le metti? Però questa volta c’era qualcosa di diverso e non perché orami siamo talmente tanto abituati a pensare al Covid da esserci dimenticati che ci si possa ammalare anche di altro, questa volta era sul serio diverso.

Mi sentivo strana, i sintomi non erano poi così tanto strani per una come me che nella vita si è fatta scappare tante occasioni, ma che le influenze, invece, se le è sempre vissute al massimo. Mi sentivo strana, una stranezza improvvisa ed incalzante che non si può descrivere: non si trattava di confusione, forse era più uno stato di torpore, una specie di mancanza di armonia nel pensiero e nelle azioni con ciò che ti circonda, ma neanche. Così mentre cadevo in letargo e non riuscivo a stare in piedi, e mentre la febbre continuava a salire ed i brividi, ed i dolori alla gambe, schiena e testa erano sempre più forti, i miei tamponi risultavano sempre più negativi. Poi è iniziata una tosse bruttina, la voce è cambiata, è arrivato il senso di oppressione al petto e quella sensazione di non riuscire a respirare mica tanto bene, ma il tampone risultava sempre negativo. Poi è arrivata una pizza margherita, mangiata a letto, ma non come nei migliori film con lucine e buona compagnia, direi più come la bambina dell’esorcista, e là l’improvvisa scoperta di non sentire più assolutamente i sapori. Potevo dubitare che la mozzarella di bufala non fosse sul serio di bufala, che forse si erano scordati il sale nell’impasto della pizza, che guarda un po’ quant’è delicata questa salsa di datterino che manco si sente, ma al primo sorso di coca-cola ho capito che il problema ero sul serio solo e soltanto io. L’ indomani mattina, finalmente, il tampone è risultato positivo.

E dico finalmente perché stavo impazzendo, stavo troppo male e non riuscivo a capire altrimenti quale altra forma strana di influenza esistente al mondo mi fossi beccata stavolta, perché i sintomi c’ erano tutti ma poi non avevo la conferma al tampone. Questo perché grazie ai miei studi di medicina non solo vivo la malattia come una simpatica puntata di “Esplorando il corpo umano”, ma la mia mente non si ferma fin quando non arriva ad una diagnosi.

Ho sempre trovato il mondo della Microbiologia e delle Malattie Infettive molto affasciante. I batteri ed i virus sono delle forme di vita così microscopiche, impalpabili, ma allo stesso tempo così intriganti, complesse e potenti. Basti pensare, per evitare di essere eccessivamente accademica, che nella “Spada nella Roccia”durante una battaglia di magia Mago Merlino si trasforma in un Virus simil esantematico per stracciare e mettere K.O Maga Magò. Noi esseri umani avremmo molto da imparare dallo “stile di vita” di batteri e virus, soprattutto dalla loro straordinaria capacità di adattamento che li porta ad andare incontro a cambiamenti e mutazioni varie pur di continuare a vivere. L’ uomo non si sa adattare, o meglio alla fine si adatta ma spesso lo fa sotto sotto con grande fastidio, borbottando e criticando. È come se in alcune circostanze non riuscisse a vedere nella capacità di adattamento una risorsa.

Comunque era ufficiale, mi ero beccata il Covid e nonostante i vaccini fatti e le mille attenzioni usate me l’ero beccato in forma anche abbastanza aggressiva. Ma non basta, perché in questo caso ero proprio io quella che in un plastico alla Bruno Vespa e non, viene scientificamente identificata come “super diffusore”. Infatti nonostante il mio immediato e preventivo isolamento, avvenuto già alle prime linee di febbre quando ancora non ero certa di cosa si trattasse, ero stata capace di contagiare ben altre quattro persone.

Non che ammalarsi sia una colpa, ma sapere che la vita di altre quattro persone è stata momentaneamente stravolta e limitata a causa tua non è una cosa che fa proprio piacere, soprattutto perché in questo caso in particolare abbiamo imparato che nulla è più imprevedibile dell’imprevedibilità del Covid stesso. Lo dico anche solo per il toto sintomatologia, non sai mai come gira: chi è asintomatico, chi paucisintomatico, chi presenta una sintomatologia generica che è un po’ uguale per tutti ma che poi, in realtà, si ramifica in sintomi assolutamente soggettivi e diversi, come tipologia ed entità, da persona a persona. Io ad esempio vorrei capire perché mi facevano così tanto male i polsi e le caviglie, che sintomo super singolare è? Ed i capogiri continui? Ed il mal di testa, che ho ancora, e che non mi ha lasciato neanche un attimo di tregua? è come aver parcheggiato un enorme tir in testa. Ed i capelli, perdevo capelli manco fossero vite a Cucù. Sono rimasta super sintomatica, positiva e chiusa nella mia stanzetta per ben 16 giorni, direi che il Covid si è trovato talmente tanto bene dentro il mio corpo che se esistesse una versione di Trip Advisor o di Airbnb gestita da batteri e virus sicuramente avrei una super recensione e risulterei un superhost.

Che non mi si venga a dire che è una banale influenza perché non lo è. È un malattia sistemica, colpisce tutto quello che vuole quando e come vuole. Se si è fortunati la si prende in modo asintomatico, se si è meno fortunati con sintomi blandi ma pur sempre fastidiosi, se si è sfortunati in modo abbastanza pesantema gestibile, se si è più che sfortunati l’iter lo conosciamo tutti e non oso neanche immaginarlo. Così come, se tanto mi dà tanto,non voglio immaginare come sarei stata se non fossi stata vaccinata.

Il covid è una malattia bifasica, quando sembra che stai per stare meglio ti ributta giù, e quando va via ti lascia in eredità un malessere generale che fa sì che il tuo corpo necessiti di un paio di giorni di assestamento prima che tutto torni alla normalità.

Ma mentre per l’appunto il tuo corpo è tutto un insieme di brividi, dolori, tosse, cascate citochimiche, tachipirina 500 che se ne prendi due diventa mille, cosa ti passa per la mente? Per la mente ti passano troppe cose.

Hai un rapporto strano con il tempo, se da un lato sembra non passare mai dall’altro guardi il calendario e ti accorgi che in realtà sono passati tantissimi giorni. E questo è un problema perché stai troppo male per fare tutto, tranne che per pensare, e più tempo “libero” hai più pensi. Passi dal pensiero di quanto ti dispiace aver contagiato delle persone che probabilmente a quest’ora starebbero svolgendo tranquillamente la loro routine, a pensieri che oscillano come un altalena continua tra rimorsi e rimpianti, pensi a tutto quello che non hai e che probabilmente non avrai mai, e alle faccende in sospeso. In tutto ciò, ovviamente, l’unico comune denominatore è quello di voler trovare un rimedio.

Ma come fai tramortita, in un letto, a trovare giusto adesso un rimedio a cose che a volte sono più grandi di te? Però non ti dai per vinta e ci provi, per accorgerti poi che forse, in realtà, è troppo tardi per porre rimedio sia a cosa hai fatto, sia a cosa non hai fatto. E allora si presentano altri due problemi che con il Covid, ma direi più in generale con la malattia, camminano a braccetto e che sono la tristezza e la solitudine.

Ti senti isolata nell’isolamento o forse ti isoli a tua volta dall’isolamento, inizialmente è tutto un bombardamento di domande sul come e dove ti sei contagiata (come se fosse facile capirlo eh), sui sintomi che hai e sull’essere vaccinata o meno. Il problema è che in molti non si rendono conto che l’ultima cosa che vuoi fare in quel momento è quella di rispondere ad un sondaggio, vorresti solo un po’ di compagnia.

Un po’ di conforto, un qualcosa che ti distragga, un programma, una proposta per quando starai bene, un qualcosa che non ti dia la sensazione che il mondo sta andando avanti e che tu stia restando ancora una volta indietro. Non so se vi è mai capitato, a me è sempre successo così: dopo ogni febbre tosta, ogni febbre pesante, ogni malessere di quelli che dici “non vedo l’ora di stare bene per…” , appena poi stavi bene puntualmente perdevi qualcosa di importante, quel “per…” svaniva nel nulla e ti ritrovavi sotto al pilone a guardare il mare con tante domande e nessuna risposta.

Ma qua si aggiunge un altro problema, ovvero che spesso non hai la forza per interagire e quindi poco conta che tu trascorra le tue giornate sola o in compagnia, perché tanto non riesci a dar retta a niente e a nessuno per più di 5 minuti contati dato che vivi in stand-by totale. A questo punto la situazione ti sfugge di mano perché devi trovare rimedio all’ impossibile e non ti resta altro che dormire e accettare. Accettare e dormire. Quando hai il Covid, però, c’ è poca differenza tra il giorno e la notte, stai a letto ma non ti riposi mai. Stare male è stancante, e di notte si sta peggio, soprattutto per la tosse, e non si riesce a dormire, quindi tendenzialmente dormi di più di giorno, soprattutto il pomeriggio. In ogni caso quando riesci a dormire è fantastico, o almeno per me è stato così, perché è l’unico momento in cui perlomeno mentalmente stacchi la presa e ti ritrovi a fare dei sogni così belli ma così belli che non vorresti più svegliarti. Il problema però, a questo punto, è che quando ti svegli ti accorgi che sono solo sogni.

Un altro problema poi è la confusione data dalla burocrazia e dai mille piani terapeutici che ti piovono e non addosso. Attenzione, momento polemichetta: l’USCA non mi ha mai chiamata per l’indagine epidemiologica, il mio green pass non è mai stato disattivato ed ancora nonostante il certificato di fine isolamento non mi è stato inviato il nuovo, per la raccolta dedicata dei rifiuti è stato peggio del gioco dell’oca, però mi è arrivata quanto meno subito la mail per la convocazione del tampone di controllo. Per il resto è stato un continuo scambio di mail con quel sant’uomo del mio medico di base, mail in cui dovevo allegare, stampare, compilare, scannerizzare mille documenti mentre a stento ce la facevo a bere un bicchiere d’ acqua. E più volte mi sono chiesta come faccia a sbrigare tutto ciò chi magari è molto più grande di me e totalmente distante dal mondo tecnologico, o chi magari non ha semplicemente in casa tutto l’occorrente per poterlo fare, o chi magari sta ancora peggio di come potevo stare io.

Il lato positivo? Prendersi il Covid durante le due settimane più italiane del 2022, ovvero durante la settimana dell’elezione del Presidente della Repubblica e durante la settimana del Festival di Sanremo. La mia tv non è mai stata così tanto tempo accesa, anche se per lo più senza volume. È stato un bene perché per due settimane social e mass media si sono concentrati anche su altri argomenti. Sentire parlare di Covid e leggere di Covid, mentre si ha il Covid, non è poi così rassicurante. Quando non sei al top sorridere e ridere è fondamentale, è una medicina naturale, e devo dire che grazie a Propaganda Live, il Fantasanremo che ero già sicura di perdere in partenza, e l’invasione dei meme tra Fb ed Instagram ne ho assunto una buona dose. Ovviamente, in questa buona dose di medicina naturale, rientrano in primis le attenzione degli amici e delle persone care.

Però qua la situazione si complica. Siamo fatti tutti in modo diverso, siamo tutti un po’ strani in fondo o meglio tutti abbiamo dei personalissimi modi di rapportarci in determinate situazioni, e poi tutti siamo così presi dalle nostre vite, dai nostri bisogni, dalla nostra scala di priorità che non sempre viaggiamo sulla stessa lunghezza d’onda e parliamo la stessa lingua quando si tratta di reagire difronte a qualcosa.

Insomma non tutti capiamo o ci rendiamo conto se e quando aiutare l’altro e se e quando abbiamo noi stessi bisogno di aiuto, o magari è l’altro che non si fa aiutare, o ancora il tipo d’ aiuto che diamo non viene recepito, o magari non abbiamo la più pallida idea di cosa fare per aiutare e allora alla fine non facciamo nulla, o più semplicemente pensiamo che quella persona non abbia nessun bisogno di essere aiutata.

Così mentre mi convincevo del fatto che non si deve avere paura e che anzi, a volte, si deve proprio lasciare che le cose si rompano, mi sono chiesta: ma quanto sul serio un aiuto ti può aiutare? Ed ovviamente non mi riferisco ad un tipo di aiuto materiale. Ci sono momenti e stati d’ animo in cui per lo più basta ricevere una parola, un sorriso o un gesto semplicissimo per stare meglio, percepirsi meno soli e sentirsi più leggeri.

Ma non sempre tu lo capisci e gli altri lo capiscono. L’ importante, però, è fare quel che si può.

E proprio la mattina in cui mi sono negativizzata sono inciampata, per caso, nei versi della scrittrice canadese Margaret Atwood: “Non sei il mio dottore, non sei la mia cura, nessuno ha questo potere, sei solo un compagno di viaggio”. E sì, ho pensato che è un assioma che condivido, e cioè che nessuno, neanche la persona che ti ama di più al mondo, può assumersi la responsabilità di aggiustare tutto quello che nella tua vita non va. Però ho anche pensato che la Atwood avesse un pochino esagerato.

Spesso le persone possono davvero, almeno in parte, aiutarci a guarire. Dobbiamo essere aperti a questa possibilità. Non dobbiamo sentirci così patologicamente autosufficienti e testardi da respingere qualsiasi offerta d’aiuto, o così patologicamente autosufficienti ed insicuri nel proporre qualsiasi offerta d’aiuto.

Il fatto che quell’aiuto sia imperfetto non significa che sia inutile, anche solo perché “il finale è una sorpresa che non voglio sapere”.

 

 

Foto in copertina di Francesco Algeri

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