MESSINA. «Si può essere innamorati di diverse persone per volta, e di tutte con lo stesso dolore, senza tradirne nessuna. Il cuore ha più stanze di un bordello».

A scriverlo è Gabriel Garcia Marquez, nel suo romanzo “L’amore ai tempi del colera”. Correva l’anno 1985, circa un lustro prima che Morning Glory Zell-Ravenheart, autrice, docente e sacerdotessa della “Chiesa di tutti i mondi” introducesse per la prima volta il termine «relazione poliamorosa» nel suo articolo A Bouquet of Lovers (1990). Un “neologismo”, ripreso poi nel 1992 nel newsgroup alt.polyamory di Jennifer Wesp (citato anche dall’Oxford English Dictionary), che in realtà è in uso già dai primi anni ’60 per designare “la pratica o il desiderio di una persona di avere più relazioni intime contemporaneamente, nel pieno consenso di tutti i partner coinvolti”.

Descritto come una forma di non monogamia etica, cioè consensuale e responsabile, il poliamore è un orientamento romantico basato su rispetto e condivisione che attira sempre più persone in tutto il mondo: un concetto semplice (eppure stranamente complesso) che implica una gestione consapevole della gelosia e il rifiuto dell’esclusività sessuale come base di un rapporto. 

Facciamo un esempio banale: io ho una relazione sessuale e/o amorosa con più persone (indipendentemente dall’identità di genere), le quali, a loro volta, possono instaurare una o più relazioni sessuali e amorose con altre persone. Tutti quanti siamo consapevoli della cosa, la accettiamo e siamo informati sulle situazioni relazionali e sentimentali dei nostri partner, in un rapporto all’insegna della trasparenza.

Questa è (più o meno) la teoria. Poi c’è la pratica, in una società dove la monogamia è legge e tutt’ora si fa fatica ad accettare tutto ciò che non rientra nella norma, malgrado il mondo che cambia.

A spiegare cosa significa vivere un rapporto poliamoroso sono due studenti, Luna e Nicola, messinesi trapiantati a Bologna, che raccontano la loro esperienza di vita e tutte le sfumature di una realtà che per molti è ancora difficile da comprendere, fra luoghi comuni, condizionamenti religiosi e pregiudizi.

La loro è la terza di una serie di testimonianze che Lettera Emme racconterà grazie alla collaborazione di Liberazione Queer Messina, un collettivo che da circa un anno lotta per la liberazione sessuale e la rivendicazione di diritti sacrosanti, contro ogni forma di omotransbifobia. L’obiettivo di questa rubrica è quello di fornire un contributo utile alla collettività sulla realtà, le esigenze, le problematiche e le istanze del mondo Lgbtq+ attraverso delle testimonianze dirette, senza alcun filtro.

 

LUNA. «Partiamo dalla differenza fra poligamia e poliamore: con la prima si intende la pratica, caratteristica di alcuni paesi e religioni, di avere un nucleo familiare in cui un uomo ha più mogli. La seconda è un orientamento romantico, o uno stile di vita, per cui un individuo, con o senza una relazione già in corso, riconosce e valida per se stesso la possibilità di desiderare una relazione a tutti gli effetti con più di una persona». È questa la discriminante fondamentale con cui Luna, 21 anni, studentessa di Lingue, Mercati e Culture dell’Asia nel capoluogo emiliano, introduce il suo intervento sulle relazioni poliamorose, spesso considerate come forme di promiscuità a cui è stato dato un nome per “validarle”. In realtà le cose sono ben diverse, nonostante i preconcetti, lo stigma sociale, le “abitudini” mentali e la cultura patriarcale ancora imperante, soprattutto al Sud.  «Lo stigma sociale nasce e va a braccetto con lo stigma religioso. Io ho frequentato per tantissimi anni una scuola cattolica e mi ricordo quanto mi sentissi “sbagliata” ai tempi della pre-adolescenza, quando cominciai ad intuire che mi interessaavano anche le ragazze: una circostanza che mi ha portato a sentirmi deviata e mostruosa. Quando poi mi sono avvicinata al poliamore è stato ancora più pesante. Eppure ci sono moltissime/i attiviste/i “poli” che sono religiose/i, a dimostrazione che un compromesso è possibile».

E come funziona la componente “gelosia” in un rapporto poli? «C’è la falsa credenza che le persone poliamorose non ne provino, ma ovviamente non è vero. La gelosia è legata all’insicurezza: si ha paura che una persona possa far stare meglio il nostro partner, o magari si teme di essere meno interessanti o piacevoli», prosegue, spiegando nel video in basso il modo personale con cui la affronta: «Una cosa che fa smorzare la gelosia è conoscere i partner dei miei partner, perché li umanizza. Inoltre se una persona ha una relazione con il mio partner significa che io e quella persona abbiamo delle cose in comune: è una cosa molto bella che ti permettere di instaurare dei bei rapporti interpersonali, in maniera diversa»

«Tutti quanti – conclude con una battuta, fra il serio e il faceto – mi chiedono come faccia a non essere gelosa, ma nessuno mi chiede come faccia ad organizzare il mio tempo: è quello semmai il vero scoglio di una relazione poli».

 

NICOLA. Perché l’amore deve essere per forza esclusivo? Perché deve essere sempre una questione di “io provo questo per qualcuno, quindi lo proverò per sempre solo per questa persona”? Sono le domande da cui inizia l’articolata riflessione di Nicola, studente 22enne in Scienze della Comunicazione, che nel corso di un lungo excursus, con vari riferimenti storici e antropologici, cita l’esempio dell’amore per i figli e dei diversi tipi di amicizia, ma anche le dinamiche del regno animale o di altre culture umane con regole etiche e morali diverse da quelle della società occidentale: «Basta guardare ad altre latitudini, o al passato, per vedere come la monogamia e l’esclusività sessuale non siano sempre e comunque lo standard. Se noi vivessimo in una società completamente diversa, nella quale donne e uomini hanno la stessa liberà di scegliere i propri partner (o di non avere partner), sessuali o romantici che siano, molti dei problemi che caratterizzano la nostra vita non esisterebbero neppure», è la sintesi del suo discorso, che spazia dai popoli Mosuo in Cina alle imposizioni sociali, lavorative ed economiche che spesso accettiamo senza nemmeno rendercene conto, fino al concetto di cancellazione della possessività all’interno di una relazione.

Anche Nicola si sofferma sulla gelosia e in generale sul concetto di amore in Occidente, strettamente connesso all’esclusività, al possesso e al sacrificio totale verso l’altro/a: «Da centinaia di anni ci bombardano con un’idea sempre uguale, ovvero che dobbiamo essere ossessionati da una persona “idealizzata” (spesso ai limiti dello stalking) e rinunciare ad ogni cosa, ma anche in questo caso è una questione culturale. La gelosia, in fondo, è solo un’altra forma di paura».

 

FRA MEDIA, LIBRI E SERIE TV. Come viene raccontato il poliamore dai media? Male, sostanzialmente, con approcci stereotipati e giudizi morali (velati o meno). Oppure viene del tutto ignorato, malgrado la crescente diffusione.

Ci sono però delle eccezioni, come ad esempio il libro «In principio era il sesso. Come ci accoppiamo, ci lasciamo e viviamo l’amore oggi», “che cerca di smontare tante idee che diamo per assodate. Un testo che aiuta a porsi delle domande (a partire dalla monogamia) e fornisce risposte diverse”.

E le serie tv? Il consiglio di Nicola, nel video in basso, è quello di guardare She’s Gotta Have It, di Spike Lee, che si sofferma sulla vita amorosa della pittrice e ritrattista Nola Darling.

 

Qui gli articoli precedenti:

The queer diaries, essere LGBTQ+ a Messina: la storia di Oliver (video)

The Queer diaries, essere Lgbtq+ a Messina: la storia di Giorgia e Fabio

 

 

 

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