MESSINA. In principio furono le cosiddette “Foto d’oro”, ovvero immagini di paesi e panorami messinesi pagate 2 miliardi di lire dalla Provincia. Da quello “scatto” iniziò la Tangentopoli in salsa messinese, che vide in Angelo Giorgianni, il “Di Pietro del Sud”, il protagonista assoluto. Il magistrato, in verità, era componente di un pool di cui facevano parte anche Vincenzo Romano e Salvatore Laganà.

Angelo Giorgianni

Un’epoca “d’oro” per la Procura di Messina, Tangentopoli, così aurea che ogni inchiesta diventava del nobile metallo, come annotò Sebastiano Messina su “Repubblica”: “cassonetti d’oro”, “appalti d’oro”, “parcelle d’oro”, “autostrade d’oro”, “quadri d’oro”. Chiuso questo giro, i magistrati passarono ad indagini sul traffico di armi e il riciclaggio, prima di “chiudere i battenti”.

Pippo Naro

Dal 1992 in poi, Messina, con un tozzo di pane in mano, attendeva quotidianamente la lettura dei giornali per poterselo bagnare a ogni nuovo avvivo di garanzia. In ordine sparso, nel corso di pochi mesi (divenuti anni), venne colpito quasi tutto l’arco costituzionale della Prima Repubblica e i suoi potenti più potenti: tra gli altri, Pippo Naro (presidente della provincia), Mario Bonsignore (sindaco di Messina), Paolo Piccione (presidente dell’Ars), Vincenzino Leanza (presidente della Regione), Giuseppe Astone (sottosegretario alle Poste), Vincenzo Ardizzone (presidente del Consorzio Autostrade), Nicola Capria (ministro socialista). Non solo loro furono buttati giù dal piedistallo, ma anche un vero e proprio esercito di amministratori locali, consiglieri comunali del capoluogo e della provincia, faccendieri, funzionari e imprenditori. Già, perché dopo il ciclone di Tangentopoli, l’imprenditoria in riva allo Stretto non fu più la stessa e si salvarono in pochi, perché a nulla valeva o meno collaborare.

La scossa che diedero le indagini ebbero un effetto benefico anche su Palazzo di Giustizia, con inchieste condotte da altri magistrati, ad esempio Giuseppe Santalucia, che misero sulla graticola l’ex rettore Guglielmo Stagno d’Alcontres e i presunti affari orbitanti attorno al Policlinico (inchiesta finita nel nulla). In tutto, in Sicilia, gli indagati salirono a quota 146: una vera e propria decapitazione che cambiò il volto della politica. Apparentemente.

Fabio Repici

E la città, come reagì? Ad ogni avviso, ad ogni arresto, una vera e propria “ola” calcistica. Nacquero nuove associazioni, come “Nuovi Vespri”, che vedeva tra le sue fila Fabio Repici (avvocato già protagonista del caso dell’omicidio di Graziella Campagna e adesso del delitto di Attilio Manca) e Antonio Nastasi (tra i pm delle ultime indagini a carico dell’Ateneo), un giacobino “Comitato di Salute Pubblica” e altre iniziative che si andarono ad affiancare a porzioni di quei partiti rimasti illesi: il Pri, con il capogruppo al Comune Pietro Currò, Liliana Modica e Michele Trimarchi (questi ultimi, poi, animatori di Alleanza democratica), i Verdi di Giuseppe Restifo (in cui era confluita gran parte della ex Democrazia Proletaria), la neonata Rifondazione Comunista, la Figc/Sinistra giovanile e Tano Grasso, esponente del Pds assurto agli onori nazionali per il suo movimento antiracket a Capo d’Orlando. Al di fuori del perimetro di chi chiedeva il rinnovamento, tutto era il “vecchio”, laddove “vecchio” equivaleva a colluso. In fase di stallo, almeno inizialmente, la Rete di Leoluca Orlando, neanche nata e già dilaniata.

Giuseppe Buzzanca

Ma cosa produsse questo brodo primordiale? Poco o nulla. L’effetto più evidente, nel 1994, fu la fortuita elezione al Comune di Franco Providenti per il centrosinistra e di Giuseppe Buzzanca (esponente di An, forza politica rimasta illesa) alla Provincia. Scomparsi i maggiorenti del pentapartito, alle elezioni politiche del 1994, come del resto nel 1996 e nel 2001, Messina votò compatta Forza Italia, e lo stesso accadde alla Regione. Una manciata d’anni sufficiente per dare agli esponenti della ex Dc, più bravi a far politica, il tempo per riorganizzarsi, come dimostrarono le elezioni di Totò Cuffaro, nel 2001 e nel 2006, e di Raffaele Lombardo, nel 2008. A Messina, invece, l’ultimo sindaco Dc prima dell’elezione diretta, e in piena Tangentopoli, Turi Leonardi, divenne primo cittadino nel 1998. Infine, la città sarebbe ritornata al centrosinistra grazie a un altro figlio, anzi nipote d’arte, dello scudocrociato: Francantonio Genovese. Era il 1996.

Tornando a Tangentopoli: come andò a finire? Il sistema, un sistema, c’era sicuramente, ma… Nel 1996, Giorgianni venne eletto al Senato. Da quel momento, le inchieste aperte iniziarono a sfaldarsi, mentre quelle chiuse andarono a processo con risultati non sempre ottimali. A dirlo, l’elenco dei tanti assolti, per merito o prescrizione. Come Pippo Naro, che uscì dal frullatore nel 2007, o come Vincenzino Leanza, Vincenzo Ardizzone, Mario Bonsignore e Francesco Mangiapane, ex sindaco di Furnari, ma anche Paolo Piccione (che in questi giorni ha presentato un libro di memorie) e Nicola Capria, morto nel 2009.

Una vicenda, Tangentopoli messinese, che seguì un percorso narrativo circolare, con posizioni che, infine, tornarono in parte al punto di partenza ma con, sulle spalle, il peso di detenzioni e indagini leggermente alleviato dai risarcimenti da parte dello Stato.

Fra gli epiloghi differenti, infine, va ricordato quello di Giuseppe Astone, condannato in Cassazione nel 2007 e privato, nell’ottobre scorso, del vitalizio da ex parlamentare.

 

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