MESSINA. “Ecco perchè questo posto all’ingresso della Sicilia sta per diventare una delle prime vere “smart cities” al mondo”. Lo pronuncia con lo sfondo del porto, il giornalista californiano Ian Sherr, nel video “The Smartest Stuff, how innovators are making you, and the world around you, smarter”: un report del sito cnet.com, uno dei più importanti nel settore nuove tecnologie.
Che ci fa a Messina l’executive editor Ian Sheer, mentre parla col sottofondo del Duomo, col gallo che canta ed i turisti col naso all’insù? Il solito video sulle bellezze della città? No. Ian Sherr racconta, in sei minuti, cosa Messina sta facendo nel settore delle smart cities, le città interconnesse che offrono servizi telematici e in rete per viverci, e viverla, meglio. E il suo cicerone è Antonio Puliafito, ordinario di ingegneria all’Università di Messina, direttore del Ciam (centro informatico dell’ateneo messinese) e soprattutto fondatore di SmartMe, spinoff tecnologico dell’università. E proprio di SmartMe parla il video.
Cosa è SmartMe, e che fa? Molto in sintesi, una serie di centraline di elaborazione dati sparse in tutta la città per alimentare applicazioni tramite tecnologia open data. Puliafito, davanti al Duomo, ne dà una dimostrazione: mediante una di queste app, inquadrando un monumento se ne può automaticamente leggere la storia, spiega, mentre il cameraman inquadra la città senza indulgere nella solita retorica da città del sud Italia.
Puliafito guida il giornalista tra spettacolari scorsi di Messina: università, Palazzo Zanca, piazza Antonello, ex palazzo delle Poste, lungo la pista ciclabile sulla litoranea (con terrificanti cespugli, erba incolta e cartacce in bella vista), fino all’aeroporto di Catania, in cui SmartMe ha piazzato una centralina alimentata da una telecamera ad infrarossi che assolve a questioni di sicurezza (visibile anche sul sito di SmartMe). Solo questo? No.
Puliafito, durante il tragitto tra Catania e Messina, illustra anche un’altra funzionalità che SmartMe sta testando, dei sensori magnetici, costruiti dalla catanese STMicroelectronics, che servono per individuare il parcheggio più vicino e “prenotarlo”, centraline alimentate ad energia solare per monitorare percorsi e orari dei bus e un prototipo di sensore applicato ai cassonetti della spazzatura che avverte la centrale operativa dell’azienda che si occupa di smaltimento rifiuti quando il contenitore sta per riempirsi, razionalizzando la raccolta.
“L’università adesso ha questo grado di tecnologia e conoscenze”, conferma Sergio De Cola, assessore all’Innovazione del Comune di Messina. “Adesso bisogna convincere la gente ad usarla, questa tecnologia, far si che il suo utilizzo diventi normale”, spiega Puliafito, mentre spiega la vera specificità del progetto SmartMe, che è anche il motivo per il quale un colosso editoriale delle tecnologie come cnet.com si è interessato a Messina: tutti i dati in formato aperto che le centraline ed i sensori raccolgono, alimentano un singolo portale, e si interconnettono tra loro.
Poi, la rivelazione. La voce fuori campo del giornalista che “rende lode” all’approccio che Messina e Catania stanno mettendo in campo: “Molte città più grandi hanno un approccio più “conservativo”, focalizzandosi su singoli progetti invece di connettere l’intera città”, spiega Ian Sherr, portando come pietra di paragone la città di Chicago, prima di sorvolare sul casi Silicon Valley, l’area in cui coesistono Google, Facebook e Twitter, e che Ian Sheer spiega essere ancora lontana dall’avere “città futuristiche connesse”.
Il filmato, dal municipio di Chicago e dalla sede di Google in California, torna sul Duomo di Messina, e sul faccione di Ian Sheer con lo sfondo dello Stretto, che avverte “Non è un successo garantito: se le persone non useranno questa tecnologia sarà una sconfitta per tutti. Ma questo non impedisce loro di provarci”. Parlano di Messina. Senza toni paternalistici o folcloristici. E vengono dalla California per farci un video da sei minuti e mezzo. Sulle nuove tecnologie. Forse è la distanza che mette tutto in prospettiva. O forse è vero che nessuno è profeta in patria.