NEW YORK.
Da Messina a New York. Da New York al resto del mondo. Il risveglio del femminismo fa questo singolare percorso. Singolare ma determinante. All’origine dello sciopero globale delle donne, infatti, c’è il volto chiaro, ci sono i capelli biondi e gli occhi azzurri di una siciliana. Dopo la marcia per l’insediamento di Trump, per la messinese Cinzia Arruzza è stato evidente: “Bisogna raggiungere di nuovo l’impossibile. Agli inizi del ‘900 – spiega lei – non sembrava possibile che le donne potessero organizzarsi in protesta e ottenere maggiori diritti”. È successo, invece.

Cinzia Arruzza

Ed è con questa riflessione della messinese che è nato il Women Strike Us 2017, lo sciopero dell’otto marzo di New York per chiedere parità salariale tra uomini e donne. Uno sciopero che ha origine nella Grande Mela e che avrà luogo anche a Messina. E proprio da Messina nasce, in qualche modo. L’idea, il guizzo, la spinta iniziale è stata infatti proprio della biondissima messinese. “Ripoliticizziamo l’8 marzo”, ha proposto Arruzza, nata a Messina ma residente negli States, dove insegna filosofia. Attivista di lunga data, sin dai suoi anni sullo Stretto, il furore della siciliana ha infiammato le “compagne” d’America. A Messina è nata, cresciuta  e ha mosso i primi passi nella Sinistra Giovanile degli anni ’90, dove emergeva per passione e maturità politica quando era ancora un’adolescente. Dopo un passaggio a Roma dove ha studiato e dove è ha iniziato la sua carriera accademica, la filosofa messinese ha poi insegnato a Bonn prima di approdare alla New School of Social Research di New York, dove vive dal 2010 (pur tornando appena possibile a Messina). Indaffaratissima nell’organizzazione dello sciopero, la professoressa Arruzza concede a Lettera Emme qualche istante: “È arrivato li momento di ripoliticizzare il giorno delle donne. È stato spesso festeggiato con cene, fiori e cartoline a tema”. Ma nell’era di Trump – riassunta usando il riferimento al neo presidente considerato però solo un sintomo di un dilagante maschilismo – tutto è cambiato, e per questo “abbiamo invitato – continua lei –  tutte le donne nel mondo ad unirsi allo sciopero internazionale dell’otto marzo”. L’idea è sua e l’effetto domino impressionante. Quelle donne che si sono riversate in massa in tutte le città americane, e non solo, avevano a quanto pare soltanto iniziato.

Angela Davis

A spalleggiare Arruzza nell’organizzazione del Women Strike Us 2017 a New York altre 19 donne. Un gruppo supportato subito pure da Angela Davis, la nota esponente del femminismo nero degli anni settanta. La scintilla della siciliana ha, infatti, raccolto subito consenso e in poche settimane sono nati comitati in tutti gli States. E oltre: l’appello per lo sciopero ha fatto il giro del mondo, e si terrà pure a Messina dalle 9 a piazza Duomo (causa maltempo, il presidio si è spostato in Galleria). Un appello pubblicato dal Guardian: “Le marce del 21 gennaio e la loro risonanza attraverso il Paese hanno dimostrato che milioni di donne negli Stati Uniti sono stanche della misoginia dell’amministrazione Trump ma anche di decadi di continui attacchi alla vita e al corpo delle donne”, scrive Cinzia Arruzza sul celebre quotidiano inglese, assieme a Tithi Bhattacharya. E continua: “Siamo unite nella consapevolezza che l’amministrazione Trump sia un sintomo di un problema più grande: il risultato di decadi di politiche neoliberali, di accumulo di ricchezza nelle mani dei più ricchi, di erosione dei diritti e della dignità del lavoro”.  Un appello che ha avuto un riscontro immediato oltre le aspettative. L’otto marzo 2017 si torna dunque alle radici storiche della ricorrenza: “Scioperando assieme, torneremo alle origini di questa festa, una storia con la quale dovremmo tornare a socializzare”. E non tarda, Arruzza, a ricordare da dove nasce l’8 marzo: “In questo stesso giorno, nel 1908, 15 mila lavoratrici del settore tessile, la maggior parte delle quali immigrate, marciarono per le strade di Manhattan per chiedere un salario più adeguato, un orario di lavoro meno massacrante e il diritto al voto. Un anno dopo le lavoratrici immigrate del settore tessile scioperavano contro le terribili condizioni delle fabbriche in cui erano costrette a lavorare, affrontando la violenza della polizia e la repressione dei capi d’azienda. Ispirata da questa lotta la socialista tedesca Clara Zetkin, lanciò un appello ai partecipanti alla conferenza internazionale delle donne lavoratrici nel 1910 per organizzare un giorno internazionale. Le delegate di 17 Paesi votarono all’unanimità la mozione. Dopo qualche anno, nel 1917, migliaia di russe, lavoratrici e mogli di soldati, riempirono le strade per chiedere pace e pane, dando vita al sollevamento popolare che spodestò il regime zarista”.

 

 

Ritorno all’8 marzo, dunque, sbaragliando cene, aperitivi e perfino spogliarelli per tornare a chiedere pari diritti e a protestare per le violenze quotidiane, in nome di tutte le donne massacrate in questi anni. Un ritorno che in Italia ha trovato un felice gioco di parole nello slogan “Lotto marzo”, lanciato dal movimento Non una di meno.

Ritorno alla lotta, quindi, ma come?

“Sono due i modi in cui vogliamo ripoliticizzare l’8 marzo nell’era Trump – spiega Arruzza -. Prima di tutto vogliamo tornare all’idea dell’impossibile. All’inizio del ventesimo secolo era, infatti, impossibile pensare che le donne, e le lavoratrici tessili in particolare, potessero organizzarsi. I principali sindacati all’epoca lasciarono che lavorassero in condizioni feroci, o addirittura – come nel caso della fabbrica di bottoni Triangle – di bruciare vive nelle fabbriche. Le donne che scioperarono all’epoca abbracciarono l’impossibile. Come disse la 19enne Clara Lemclich, una delle leader dello sciopero: “Dicevano che non si poteva raggruppare le donne in una protesta, che erano soltanto “lavoratrici temporanee”. Be’ li abbiamo mostrato che avevano torto”. Un ritorno a quel che non si spera più: “Nell’era di Trump – conclude la messinese – abbiamo bisogno di riconquistare l’impossibile”.

Al presidio di Messina anche la polizia di Stato, Irene Onolfo spiega come denunciare in sicurezza e anonimato gli abusi.

I post-it nel social wall nella Galleria Vittorio Emanuele che rispondono alla domanda “violenza di genere è…”. Ecco tutte le frasi sessiste:

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