MESSINA – È stato demolito da mesi ma i  resti dell’inceneritore non sono stati mai rimossi. Restano ammucchiate a San Raineri, nella zona falcata, le ceneri dell’ecomostro, inquinando una zona già

gravemente a rischio per abbandono e immondizia. A lanciare l’allarme è l’ingegnere Linda Schipani, da sempre appassionata all’inceneritore: “Una volta demolito si è formata una nuova duna minacciosa di macerie che da quando l’intervento di smantellamento è stato ultimato si disperdono nell’area circostante, nel suolo, nel mare”.

Dopo il lungo iter che ha portato alla fase di distruzione dell’impianto finalmente terminato quattro mesi fa, circa, le ceneri dell’edificio frantumato restano lì, aggravando una situazione di pesante degrado.

La storia.
“Un inceneritore di rifiuti urbani concepito nel 1973 dalla ditta Cifindus di Zurigo. Primo in Sicilia, all’avanguardia in Europa – racconta ancora Schipani –  l’impianto aveva due linee di funzionamento da 110 tonnellate al giorno; dotato di una grande vasca, all’interno della quale i camion della nettezza urbana conferivano i rifiuti, accedendo attraverso un ampio piazzale vista mare. Le operazioni di scarico dei rifiuti nella fossa venivano monitorate attraverso una centrale di comando, modello Star Trek, sita in una funzionale palazzina su tre piani, sempre vista mare, firmata ingegnere D’Amore. La palazzina uffici, così come la terrazza di carico, sono state demolite nel 2011, anno in cui fu avviata la mutilazione di questo grande inceneritore ormai spento. Alla sala comando un operatore su sedia di manovra, dietro una vetrata con affaccio sulla fossa, manovrava una grossa mano meccanica, la benna. che prendeva i rifiuti e li immetteva nelle bocche dei forni, le tramogge. I due forni, del tipo a griglia, la tipologia più diffusa per i rifiuti solidi urbani, erano dotati di un sistema di movimentazione autonomo, brevetto ingegnere. Schipani, che li rendeva innovativi e più efficienti rispetto alla tecnologia del tempo. Da questi forni, grosse camere in mattoncini refrattari resistenti alle alte temperature che qui raggiungevano circa 1000°C, precipitavano i residui della combustione, le scorie, mentre i fumi continuavano nelle camere di raffreddamento il loro decorso; qui si liberavano dalla piccole particelle ancora presenti, le ceneri, per poi uscire attraverso i grandi e minacciosi camini”.

Oggi tutto incenerito e abbandonato lì dove sorgeva: “Intanto le “ceneri del mostro” ricoprono la Falce da mesi, disperdendosi nel suolo, nell’acqua e nell’atmosfera”.

E secondo Schipani non andava nemmeno demolito: “Il vero problema l’inceneritore poteva rappresentarlo a quei tempi, quando funzionando emetteva fumi percepiti anche in città quando soffiava il vento di Scirocco. L’impianto lavorò in questo modo fino al 1990 quando la normativa, per fortuna, divenne più restrittiva sui limiti delle emissioni in atmosfera. Iniziarono in quell’anno i lavori di adeguamento di una delle due linee, su progetto firmato dagli ingegneri Benecchi, Bertuccio e Stracuzzi, mentre l’altra linea continuava a funzionare. Il progetto ha previsto la demolizione della camera di raffreddamento fumi della linea 2, sostituita da una moderna camera di post- combustione e l’installazione di una sezione esterna per la depurazione spinta dei fumi con torre di lavaggio, filtri a manica e serbatoio della calce. Nonostante la conclusione dei lavori, i nuovi macchinari non andarono mai in funzione perchè l’impianto, di proprietà del Comune di Messina, fu fermato e abbandonato nel 1994. Oggi dopo 23 anni di attesa, tante aspettative e una proposta di recupero si è scelto di demolire. Fino all’anno 2000 si prospettava la ri accensione per far fronte alle svariate emergenze rifiuti, poi un decreto di demolizione. Nel 2006 venne anche il Presidente della Regione Sicilia, Totò Cuffaro, promettendo alla città di Messina 3.500.000 euro per la demolizione che oggi, invece, in tempo di crisi, si fa con meno di 400.000 euro”.

E in conclusione: “Tante sono le domande e le osservazioni mosse a questo progetto di demolizione – spiega ancora Schipani – l’unica risposta si trova in una nuova duna”.

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