MESSINA. E’ morto a cinquant’anni, dopo otto giorni di coma, Lorenzo Isaia, uno degli animatori della sinistra giovanile messinese degli anni ’90. Lorenzo, catanese che ha trascorso la sua adolescenza e gioventù a  Messina prima di tornare in età adulta a Catania, era rimasto gravemente ferito in un incidente stradale in via Vincenzo Giuffrida il 31 gennaio scorso, quando alla guida di un monopattino era stato centrato da un’auto. Ricoverato in rianimazione all’ospedale Cannizzaro, Lorenzo Isaia non si è più risvegliato.

 

Terminata la cronaca, un ricordo personale: con Lorenzo Isaia abbiamo condiviso gli anni del liceo, nella seconda metà degli ’80, al Maurolico, lui nella prestigiosa sezione B, io nella più modesta D, lui “matricola” e io veterano, in virtù dell'”anno avanti” che potevo vantare. Chiunque lo abbia conosciuto, non può non ricordarne il sorriso perennemente stampato in faccia, e il buonumore irresistibilmente contagioso. E’ da Lorenzo Isaia che si andava dopo un quattro in un’interrogazione di greco, consapevoli che, anche solo per i dieci minuti scarsi di ricreazione, qualcuna delle sue battute con quella strana inflessione messinese intervallata da espressioni catanesi ti avrebbe fatto dimenticare medie voti compromesse e pagelle da giustificare davanti ai cazziatoni dei genitori.

E’ difficile non scadere nella retorica quando si ricorda un amico morto, quando torna in mente un’amicizia, di quelle amicizie possibili solo nell’adolescenza, nate sui gradini dell’ingresso del Maurolico, ad architettare improbabili scioperi per evitare compiti e interrogazioni, sempre miseramente falliti per l’intervento da parte dall’inflessibile preside del tempo, l’implacabile professore Repici, e cementata dalle conseguenti sparate in giro per la città, in quell’età indefinibile in cui non si è ancora uomini ma non si è nemmeno più bambini, e ogni metro fuori dalla zona di conforto è un universo da esplorare.

Nel sonnacchioso ambiente del Maurolico, Lorenzo Isaia ed io siamo riusciti a cacciarci nei guai nelle maniere più improbabili, culminate in una burrascosa gita in Toscana ad aprile del 1991, di fine anno per me, di secondo liceo per lui, in cui il numero di ore di sonno è stato pari, forse, alle dita che si possono contare in una mano, con la nostra stanza (“nostra” per autogestione, dato che teoricamente saremmo stati in classi e sezioni diverse) diventato l’hub collettivo di chiunque volesse rimanere sveglio la notte per un’indianata o di chi voleva coltivare flirt intergenerazionali, intersezioni, interclassi.

Quindi il diploma, e la patente, e le serate in discoteca e l’università: poi, come sempre succede, la vita ti porta su percorsi diversi, su strade divergenti, su binari che non scorrono più paralleli. E un passo al giorno ci si allontana. Così, senza un motivo. Fino a non vedersi più, se non di rado, per combinazione. E ogni volta era una festa. E poi basta.

L’ultima volta che ci siamo incontrati è stato a mare, molti anni fa: per lui una rimpatriata coi compagni della ex Sinistra giovanile, per me qualcosa di simile. “Ou mbaaare”, mi avrà salutato così, sapendo la mia avversione per il catanese. Io gli avrò risposto con qualcosa di altrettanto fastidioso. E giù a dire di come eravamo uguali ai tempi del liceo, che fortunatamente il tempo con noi era stato galantuomo.

Un paio di minuti, poi la promessa, sempre ipocrita perchè si sa che nessuno dei due la manterrà, di tenerci in contatto. “Ciao”. “Ciao”. Nessuno di noi due poteva saperlo, che quello sarebbe stato un addio. E’ così che va la vita.

Appena ho saputo della morte di Lorenzo Isaia, il primo pensiero è stato quello di recuperare le foto della gita in Toscana, quelle testimonianze di dieci vite fa che nei traslochi misteriosamente scompaiono, anch’essi inghiottiti dal tempo. Ovviamente non le ho trovate. Eppure le ricordo con un livello di dettaglio che in genere mi sfugge per cose molto più importanti. Quel disastro di stanza con cinque persone stravaccate sul letto in regime di perdita di conoscenza. Le espressioni di chi aveva trovato un tesoro davanti alla copertina di Star Magazine con l’Uomo ragno di Todd McFarlane. A fare le faccette di cazzo nella foto coi professori. Ad indicare la scritta “cessi” che ci sovrastava, da qualche parte in giro per Firenze. Cose che fai quando hai diciassette anni, e poi le rivedi e te ne vergogni come un assassino, e guardi un’altra versione di te e delle persone che ti stavano accanto, che magari non vedi materialmente da vent’anni, eppure te ne ricordi la risata, i tic, i modi di dire.

E ti domandi “ma veramente sono passati trentatre anni da quella foto”? Si. Sono passati 33 anni. E una delle persone in quella foto non c’è più. Un pezzo della tua vita, a cui non pensavi da decenni, scompare per sempre.

Ciao Lorenzo. Seppure per poco ci siamo divertiti.

Subscribe
Notify of
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments