MESSINA. Un vero e proprio atto d’accusa. Sincero, per niente autoassolutorio. La strategia di Messinambiente, davanti alla seconda sezione civile, presieduta dal giudice Giuseppe Minutoli, presso la quale stamattina sarà depositata la proposta di concordato per evitare il fallimento, è questa. Ammettere gli errori. E sperare che, con la nuova MessinaServizi Bene Comune, non saranno ripetuti.

E’ l’avvocato Marcello Parrinello ad averla studiata: legale di Messinambiente da qualche tempo, è lui che si è occupato degli aspetti legali del concordato. E nell’elencare, nel documento che Minutoli vaglierà, parla esplicitamente di “errori gestionali che potevano e dovevano essere evitati”. E li fa risalire agli anni tra il 2005 ed il 2007, quando, “per insipenza della struttura aziendale, scrive il legale, un centinaio di dipendenti hanno visto trasformarsi il loro contratto da tempo determinato a tempo indeterminato. Mossa, questa, che ha comportato un incremento del costo del lavoro del 20% annuo, “non giustificato assolutamente dall’aumento delle prestazioni rese in favore della collettività”, sottolinea Parrinello.

Un problema, quello del personale, che tre anni fa aveva sollevato anche Alessio Ciacci, chiamato a Messina per risollevare le sorti di Messinambiente: una società, per essere sana e funzionante, non può permettersi più del 50% della dotazione finanziaria per pagare i dipendenti. A Messinambiente, gli stipendi dei lavoratori ammontavano all’80% (oggi la percentuale è diminuita, ma comunque oltre il 70%)

Poi però Parrinello scende più nello specifico. E di fatto, si fa Cassandra per MessinaServizi, invocando, come causa principale della crisi di Messinambiente, “la crisi del modello di gestione dei servizi pubblici per il tramite delle società a totale partecipazione pubblica“. Perchè? “Il totale asservimento funzionale della partecipata ad un socio pubblico in crisi finanziaria (il comune di Messina, ndr.) ricorrevano puntualmente nel caso di Messinambiente”, segnandone l’esperienza e decretandone, infine, il fallimento: giuridico e nei fatti.

Poi ci sono i rapporti sempre conflittuali con Ato3 e Comune. Molto in breve, da palazzo Zanca, a Messinambiente non è mai arrivato, in termini economici, quanto sarebbe servito per farla funzionare bene: dopo soli sei anni di vita, nel 2005, Messinambiente era già creditrice, nei confronti del Comune, per oltre 34 milioni di euro, poi ridotti a ventisette in via transattiva, quale “maggior corrispettivo per i servizi resi”. In questo scenario drammatico, nel 2004 fa il suo ingresso l’Ato 3. E da drammatico, lo scenario diventa tragico.

All’Ato3, il Comune assegnava le competenze relative alla gestione integrata dei rifiuti ed all’igiene ambientale. E come primo atto, l’azienda d’ambito (una genialata voluta dalla regione per portare ordine in nel comparto, ma che dopo dieci anni aveva accumulato 1,3 miliardi di debiti) cosa fa? Riduce in maniera significativa i corrispettivi da “pagare” a Messinambiente, provocandone lo squilibrio economico e finanziario. In pratica, il fabbisogno della partecipata, stabilito dalla convenzione col Comune, quando questi era il “committente”: ruolo passato poi all’Ato3.

Inizia una guerra di perizie: Messinambiente presenta fatture per servizi che l’Ato3 non riconosce, o non ritiene svolti bene, e il contenzioso tra le due società (entrambe detenute praticamente per intero dal Comune)  lievita fino a quasi 25 milioni di euro. Il Comune, tra l’altro, si comportava pilatescamente: non ricapitalizzava Messinambiente, non imponeva alle partecipate la revisione dei meccanismi di affidamento, e non interveniva sul contratto di servizio, che per ovvie ragioni non poteva essere interrotto, ma che è sempre stato scadente ai limiti dello scandaloso. 

“La società per troppi anni ha subito la ripetuta violazione delle intese negoziali, ricevendo dai propri committenti pubblici somme non sufficienti alla copertura integrale dei costi del servizio affidarto”, scrive duramente Parrinello. A quanto ammontano queste cifre insufficienti? Rispetto a quanto previsto dal piano finanziario, trentadue milioni, Messinambiente ha ricevuto nel 2012 6 milioni e 171mila euro in meno e nel 2013 addirittura 7,7 milioni di euro in meno. A causa di questo, nel frattempo, Messinambiente continuava a non pagare fisco, fornitori, iva, previdenza. E quando lo faceva, era a scapito degli stipendi. Una situazione alla quale si è messo fine, sulla carta, nel 2012, con la liquidazione.

 

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