MESSINA. Oltre diciottomila abitazioni non occupate: il 15% e rotti del patrimonio immobiliare messinese non è abitato da anima viva. Sono i dati, sia quelli ufficiali elaborati dall’Istat, sia quelli di operatori di mercato come “Solo Affitti”, che pongono Messina al quinto posto in Italia tra i grandi comuni con più abitazioni non occupate, dietro Ravenna, Reggio Calabria, Catania e Modena: 18.429 case disabitate, che corrispondono al 15, 82% degli immobili cittadini.

A cosa è dovuto il dato così altro? Ad una serie di fattori. Il primo è ambientale: in Sicilia, di case non abitate ce ne sono quasi un milione, il 32,23%, dato in assoluto più alto in Italia, ma non percentualmente. E quindi il dato messinese si inserisce in un contesto già fortemente orientato. Un altro motivo è la forte emigrazione: nella graduatoria, le regioni in cui sono presenti più abitazioni non occupate sono quelle in cui c’è più gente che va via in cerca di fortuna, anche se in assoluto, gli immobili sfitti sono concentrati per lo più al nord (2,9 milioni).

Poi c’è un terzo motivo, meno legato al contesto e più peculiare: a Messina si è costruito molto, troppo, e soprattutto senza che ve ne fosse una vera necessità. Il colpo di grazia è arrivato con la variante al piano regolatore generale, votata nel 1998 ma entrata in vigore nel 2002, che ha dato il via alla “deregulation”, all’assalto alle colline, a lottizzazioni spropositate e costruzioni a carattere speculativo. Si costruiva non perchè ce ne fosse realmente bisogno, ma per l'”asset” stesso del mattone, a tutt’oggi la forma di investimento preferita dagli italiani. Il tutto in un periodo di tempo abbastanza lungo in cui alla sovrabbondanza di offerta non corrispondeva un calo del prezzo, anzi. Il mercato, drogato, è imploso catastroficamente, perdendo oltre il 30% del valore in dieci anni. E lasciando tapparelle e serrande chiuse (al netto del “nero” degli affitti, comunque molto alto in città). Come è stato possibile?

Perchè, a partire dagli anni ’50, in città l’originale piano regolatore post terremoto elaborato da Luigi Borzì è stato sostituito da varianti su varianti che hanno puntato sulla volontà di costruire esclusivamente abitazioni, senza una conseguente urbanizzazione secondaria: abitazioni e palazzi in ogni dove a scapito di spazi pubblici, parchi e giardini, ma anche di strade e viabilità alternativa. Il colpo di grazia è arrivato con i piani successivi: il Tekne del 1976, e la variante Urbani del 1990, mai entrata in vigore, che prevedeva per Messina un fabbisogno abitativo parametrato su oltre trecentomila abitanti. Oggi Messina ne ha poco più di 230mila.

 

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