MESSINA. Il comune di Messina non poteva, e non aveva motivo, di emanare l’ordinanza del 9 gennaio che prorogava la chiusura delle scuole dopo le vacanze natalizie, e per questo dovrà pagare le spese di giudizio. Lo dice il tribunale amministrativo di Catania, che dopo la aver concesso la sospensiva d’emergenza sugli effetti dell’ordinanza un mese fa, che aveva permesso la riapertura le scuole in seguito al ricorso da parte del comitato Scuola in presenza, è entrata nel merito della questione e non solo ha ribadito che l’ordinanza di Cateno De Luca non aveva motivo di esistere, ma ha condannato il comune di Messina alle spese di giudizio (1500 euro, nulla di trascendentale): l’amministrazione intimata non si è costituita in giudizio.

“Il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato per le motivazioni contenute nel menzionato decreto cautelare monocratico che in questa sede sono state richiamate e che vengono confermate”, scrivono i tre membri del collegio, Daniele Burzachelli (che aveva concesso la sospensiva un mese fa), Francesco Bruno e Gustavo Cumin.
In pratica, De Luca non aveva motivo per emanare la sua ordinanza per quattro motivi, come indica la sentenza. Primo perché non era suo compito (“la fattispecie in esame è già normata a livello nazionale con disposizioni di rango primario”, e “non residua, quindi, spazio per ulteriori interventi contingibili e urgenti, avendo il legislatore nazionale, N. 00043/2022 REG.RIC. nell’esercizio della propria discrezionalità, previsto, nell’ambito del sistema scolastico, l’adozione delle misure contemplate nella norma indicata”, si legge nel dispositivo), poi perché il sindaco non ha distinto situazione per situazione (“non è, quindi, possibile una chiusura generalizzata delle scuole, dovendo intervenirsi in modo puntuale e specifico in relazione ad ogni singola classe”, spiegano i giudici amministrativi), e da ultimo perché non c’era alcuna necessità di chiudere le scuole. “L’indice di contagio nel Comune di Messina (887,4 su 100.000 abitanti) risulta analogo e in alcuni casi inferiore a quello riscontrato nel periodo 22-28 dicembre in altre Regioni italiane”, spiega la sentenza, soffermandosi sul fatto che eventuali deroghe, per legge sono previste “nelle Regioni e Province autonome solo per le “zone rosse” e sussistendo le ulteriori condizioni specificate nella disposizione”.

All’epoca, l’ordinanza di De Luca del 9 gennaio (ma anche la decisione della Regione di prorogare le vacanze di natale per altri tre giorni, fino al 12 gennaio) e la successiva sospensione del 13 gennaio aveva creato un notevole caos, con le scuole che di fatto non sapevano cosa fare, se cioè rimanere chiuse o riaprire a partire da venerdi 14, con numerosi dirigenti scolastici che nelle comunicazioni sostenevano (erroneamente) che il sindaco dovesse ritirare la sua ordinanza perché la sospensione del tar avesse effetto, e si potesse ritornare a scuola: cosa che ovviamente non ha alcun fondamento giuridico, dato che una pronuncia del tar è giuridicamente superiore, nella gerarchia delle fonti, rispetto ad una ordinanza comunale, e ne annulla gli effetti di per sé. E infatti, da lunedi 17 tutte le scuole hanno riaperto regolarmente senza che De Luca abbia ritirato alcuna ordinanza: anche quelle i cui dirigenti sostenevano dovesse farlo.

 

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